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04
dicembre 2009
fino al 20.XII.2009 Rebecca Saylor Sack Torino, Glance
torino
Stratificazioni di colore coprono una natura selvaggia. Le tele esposte in Omoplata hanno tutta la forza della presa del Brasilian Ju Jitsu. Quella che dà il titolo alla sua prima personale italiana...
di Stefano Riba
È difficile immaginare Rebecca
Saylor Sack (Framingham, Massachusetts, 1979;
vive a Philadelphia) aggrovigliata a
un’altra persona in una presa di Brasilian Ju Jitsu. È ancor più arduo, vedendo
da profani un combattimento di quest’arte marziale derivata dall’originale
giapponese, spiegarsi la traduzione dei due ideogrammi che ne compongono il
nome e che in italiano suonano come “l’arte della morbidezza”.
In Omoplata (il titolo
della mostra, non a caso, è mutuato da una presa dell’arte marziale) l’americana,
alla sua prima personale italiana, esprime tutta la potenza del Ju Jitsu non
sul tatami, ma sulla tela. Quelle presentate alla Galleria Glance sono infatti
opere potenti, dai vibranti contrasti cromatici e dalla gestualità quasi selvaggia.
Il cromatismo – creato con una
tecnica particolare, per cui l’artista aggiunge e toglie strati di vernice –
copre quasi del tutto il punto di partenza dei lavori. Scenari dove
protagonista è l’esuberanza della natura, tra foreste, cespugli rigogliosi,
grovigli di rami e rovi, macchie di muschio. Un lavoro su tutti rende esplicito
il messaggio che si nasconde in queste tele, a prima vista astratte. È Gogoplata, e proprio
il titolo (come dicevano i latini: in nomen omen) spiega la
mostra intera.
Gogoplata è infatti il
nome di un’altra mossa del Brasilian Ju Jitsu, una presa di sottomissione che
soffoca l’avversario finché questi, o l’arbitro, non chiude l’incontro. Le due
sensazioni che questo lavoro dà sono proprio quelle di sottomissione e
soffocamento. Tronchi, rami e rovi, come in una guerra per emergere,
s’incrociano tentando di trovare una posizione dominante. Un intreccio che,
complice il cromatismo dell’opera, porta a un senso di soffocamento.
Difficile non vederci un monito a
proposito degli effetti della mano umana sull’ecologia del nostro pianeta. La
natura che da sola tende all’armonia e alla generosità (ci dà ossigeno, frutti,
legname) è ormai sfruttata, distrutta, piegata. Così la base “vegetale” dei
lavori di Rebecca Saylor Sack viene coperta da una colata di colori cupi. È la
mano umana, in questo caso dell’artista, che arriva per distruggere, sovvertire
l’ordine naturale.
Vengono così alla mente le immagini
dei roghi nella foresta amazzonica o in quella del Borneo, in cui il verde
degli alberi diventa nero di fumo e la natura si trasforma in cenere.
Saylor Sack (Framingham, Massachusetts, 1979;
vive a Philadelphia) aggrovigliata a
un’altra persona in una presa di Brasilian Ju Jitsu. È ancor più arduo, vedendo
da profani un combattimento di quest’arte marziale derivata dall’originale
giapponese, spiegarsi la traduzione dei due ideogrammi che ne compongono il
nome e che in italiano suonano come “l’arte della morbidezza”.
In Omoplata (il titolo
della mostra, non a caso, è mutuato da una presa dell’arte marziale) l’americana,
alla sua prima personale italiana, esprime tutta la potenza del Ju Jitsu non
sul tatami, ma sulla tela. Quelle presentate alla Galleria Glance sono infatti
opere potenti, dai vibranti contrasti cromatici e dalla gestualità quasi selvaggia.
Il cromatismo – creato con una
tecnica particolare, per cui l’artista aggiunge e toglie strati di vernice –
copre quasi del tutto il punto di partenza dei lavori. Scenari dove
protagonista è l’esuberanza della natura, tra foreste, cespugli rigogliosi,
grovigli di rami e rovi, macchie di muschio. Un lavoro su tutti rende esplicito
il messaggio che si nasconde in queste tele, a prima vista astratte. È Gogoplata, e proprio
il titolo (come dicevano i latini: in nomen omen) spiega la
mostra intera.
Gogoplata è infatti il
nome di un’altra mossa del Brasilian Ju Jitsu, una presa di sottomissione che
soffoca l’avversario finché questi, o l’arbitro, non chiude l’incontro. Le due
sensazioni che questo lavoro dà sono proprio quelle di sottomissione e
soffocamento. Tronchi, rami e rovi, come in una guerra per emergere,
s’incrociano tentando di trovare una posizione dominante. Un intreccio che,
complice il cromatismo dell’opera, porta a un senso di soffocamento.
Difficile non vederci un monito a
proposito degli effetti della mano umana sull’ecologia del nostro pianeta. La
natura che da sola tende all’armonia e alla generosità (ci dà ossigeno, frutti,
legname) è ormai sfruttata, distrutta, piegata. Così la base “vegetale” dei
lavori di Rebecca Saylor Sack viene coperta da una colata di colori cupi. È la
mano umana, in questo caso dell’artista, che arriva per distruggere, sovvertire
l’ordine naturale.
Vengono così alla mente le immagini
dei roghi nella foresta amazzonica o in quella del Borneo, in cui il verde
degli alberi diventa nero di fumo e la natura si trasforma in cenere.
stefano
riba
mostra
visitata il 26 novembre 2009
dal 7 novembre al 19 dicembre 2009
Rebecca Saylor Sack – Omoplata
a
cura di Nadia Stepanova
Galleria Glance
Via San Massimo 45 (Borgo Nuovo) – 10123 Torino
Orario: da martedì a sabato ore 15.30-19.30 o su appuntamento
Ingresso libero
Info: mob. +39 3489249217; info@galleriaglance.com;
www.galleriaglance.com
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