La mostra “Mirror’s edge – Il bordo dello specchio” è il secondo appuntamento di rilievo nella stupefacente Manica Lunga del museo d’arte contemporanea de il Castello di Rivoli, dopo “Quotidiana. Immagini della vita di ogni giorno nell’arte del XX secolo”. Anche dal punto di vista logico può esserne considerata la continuazione: dopo l’excursus sulla storia dell’arte nel nostro secolo, viene ora proposta una riflessione sulle ultime tendenze artistiche. In particolare il tema della mostra permette di indagare come le diverse culture affrontino la tematica della realtà e della finzione nell’arte contemporanea.
Il tema filosofico della rappresentazione oggettiva del reale, in ugual modo nelle varie forme artistiche (pittura, scultura, fotografia, video, installazione arte, tutti linguaggi presenti in mostra), dove la soggettività dei creatori di opere è innegabile, viene esaminato in vari ambiti, dalla storia all’architettura urbana e degli spazi museali stessi.
Nelle intenzioni di Okwui Enwezor, critico d’arte africano trasferitosi a New York e curatore dell’esibizione, le opere presenti a Rivoli devono rispondere al seguente interrogativo: oggi, nell’epoca in cui i mass-media più sofisticati imperano al punto da sostituirsi essi stessi alla realtà, può l’arte visiva dirci qualcosa del reale?
La risposta del curatore stesso e degli artisti è che realtà e finzione non sono dimensioni contrapposte, ma complementari, e il reale non è un’entità univoca, ma contraddittoria, non è oggettivo, ma soggetto alle interpretazioni di chi lo osserva. Del resto si vive di rappresentazioni e giudizi, ed allora non può esistere una vera verità, ma solo una maggiore o minore percentuale di interpretazioni della realtà in un modo o in un altro.
E’ quello che, con le loro opere, ci trasmettono, tra gli altri, Thomas Struth, Liisa Roberts, Cecilia Edefalk e Steve McQueen.
L’artista tedesco Struth nelle sue opere, attraverso foto di interni di chiese e musei, qua Venezia, esemplifica i differenti modi con cui si fa esperienza della bellezza osservando le opere d’arte del passato. Scrutando gli osservatori, da soli o in gruppo, in silenzio o vocianti, ci fornisce uno spunto per testimoniare i valori di una società ed ancor di più i modi di esprimerli.
La trentenne parigina Liisa Roberts, con le due pellicole in 16 mm presenti, coinvolge lo spettatore facendogli perdere l’orientamento e quindi la percezione della realtà circostante, rispetto allo spazio con cui interagisce. Avete mai pensato di vedere un film da dietro lo schermo? Quale realtà osservate? Una realtà reale perché è quella che vedete o una immaginaria perché non era intenzione dell’autore crearvela? E poi, è reale la realtà di una pellicola cinematografica?
Cecilia Edefalk, svedese, parte da un’altra forma d’arte, la fotografia, per far oscillare le nostre certezze. Lei trasforma le foto di persone in ritratti personalizzati, lasciando trasparire quanto, o quanto poco, il linguaggio artistico coglie dalla realtà che suppone di rappresentare.
Accanto al tema della finzione realistica ve ne è un altro principale, quello della globalizzazione, ed alcuni secondari, quali i rapporti interpersonali, affettivi e sociali, che segnano la vita quotidiana e delineano il ruolo di ciascun individuo nella collettività, quello degli sviluppi dell’architettura e dell’urbanistica e i sempre più inquietanti aspetti della questione ecologica e del rapporto fra tecnologia e natura. Tali tematiche vengono affrontate da artisti come Henrik Håkansson, Bodys Isek Kingelez, N55.
Lo svedese Håkansson, in “the monster of rock tour”, reinterpreta uno dei temi più caratteristici della tradizione artistica scandinava: la ricerca di un rapporto armonico con la natura e i suoi misteri. Insomma, da Sibelius in giù, uno dei temi più affascinanti per i freddi paesi dal totale buio invernale. La sua installazione, con amplificatori, cibi, insetti, è un’opera altamente “viva” e dinamica, che fa ricorso alla tecnologia avanzata per realizzare l’utopistico desiderio dell’artista di comunicare con gli animali.
Bodys Isek Kingelez, artista africano, esamina in maniera critica, attraverso le sue opere, l’impatto della cultura urbanistica imposta, all’epoca del colonialismo, dalle potenze occidentali agli stati conquistati.
Il gruppo scandinavo N55 opera, invece, trasversalmente tra arte, architettura e design, integrando nelle sue costruzioni le persone perché, correttamente, i membri del sodalizio affermano che non ha senso parlare di arte senza immaginare le situazioni concrete e, con esse, il comportamento delle persone.
Come scritto, l’altro filone conduttore della mostra è la globalizzazione. Sono messi a confronto artisti delle generazioni più giovani, alcuni già molto affermati, come l’americano Raymond Pettibon, il giapponese Hiroshi Sugimoto, lo svizzero Thomas Hirschhorn, con altri meno giovani e altri ancora che il mondo dell’arte occidentale non ha pienamente riconosciuto, perché provenienti da aree geografiche di solito non indagate dal nostro sistema dell’arte, prime fra tutte l’Africa, l’Asia e il Sud America.
Solo in questi ultimi anni, infatti, stanno emergendo in quei paesi, senza dimenticare l’est europeo, nuove tendenze e nuovi protagonisti che la globalizzazione permette di mettere a confronto con le inclinazioni e gli artisti a cui siamo più abituati, quelli nordamericani e europei occidentali. E’ questo un importante segno dei tempi che la mostra vuole documentare.
Conseguenza di ciò è la sempre più spinta matrice socio-politica presente nelle opere. Più il mondo in cui viviamo porta alla “globalizzazione” nei rapporti economici internazionali, più sono evidenti le contraddizioni nel rapporto scontro fra l’Occidente ricco, l’estremo Oriente e i paesi poveri del cosiddetto terzo mondo. In modo esplicito o allusivo, queste problematiche influenzano pesantemente il lavoro di artisti come Meschac Gaba (con le sue racchette da ping pong ideologiche), Yinka Shonibare e Carlos Garaicoa (con la denuncia di una realtà rifiutata e il rifugio in una utopica).
La maggior parte delle oltre cento opere presenti sono state appositamente progettate per questa mostra da ventisette artisti internazionali e sono tutte presenti nell’esauriente catalogo, pubblicato da BildMuseet e Castello di Rivoli (versione italiana e inglese), con i contributi di Okwui Enwezor, Meena Alexander, Carlos Basualdo, Jan-Erik Lundstròm.
Mirror’s Edge è stata realizzata per il museo di Umea, in Svezia, dove si è aperta nel novembre del 1999, ha toccato la Vancouver Art Gallery prima di essere presentata a Rivoli, da dove raggiungerà Glasgow.
Claudio Arissone
<hr<Mirror’s edge – Il bordo dello specchio
Rivoli (TO) Castello di Rivoli, Museo d’Arte Contemporanea, Piazza Mafalda di Savoia, tel +39 011 9565222, fax +39 011 9565230. Web-site: http://www.castellodirivoli.torino.it Orario di apertura: dal martedì al venerdì ore 10 – 17; sabato e domenica ore 10 – 19; primo e terzo sabato del mese ore 10 – 22; chiuso il lunedì e il 1 maggio. Periodo: 04 ottobre – 21 gennaio 2001.
Ingresso lire 12.000, ridotto lire 8.000.
Gruppi: si richiede la prenotazione con almeno una settimana di anticipo.
Accesso disabili: Si, tutte le sale del museo sono accessibili ai portatori di handicap; Servizi igienici: Si; Lingue straniere: inglese; Bookshop: Si; Bar: SI; è consentito fotografare la collezione permanente, senza flash e senza cavalletto, previa autorizzazione.
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lo specchio è uno degli elementi e dei particolari dell'arte piu significativi. Complimenti al Cast. di Rivoli
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