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I venti del cielo sempre in dolci moti si uniscono / Niente al mondo è celibe / E tutto per divina forza si incontra e si confonde” (P. B. Shelley). Il lavoro di
Andrea Massaioli (Torino, 1960) è innegabilmente ispirato dal concetto fondamentale di fusione armonica, intesa sia come incontro emotivo e fisico di anime, sia quale naturale amalgama di energie primordiali.
Come fuggevoli apparizioni, i suoi essenziali acquerelli serbano in sé una peculiare fluidità amniotica, lontanissima da qualsiasi parvenza di staticità. Riproducono sagome e soggetti semi-trasparenti, immersi in fondali bianchi di supporto cartaceo vergine. Fiori delicati con stami e pistilli in erezione, che si allungano verso il cielo, con la promessa di far sbocciare una nuova vita. In contrasto con capigliature accese di cromie propagate e assorbite, poi, volti diafani, quasi spettrali ma tutt’altro che inquietanti. Visi di giovani donne, attraenti e desiderabili seppur candide, fragili nella loro supposta innocenza.
Solo apparentemente in antitesi, pari alla sorprendente rarefazione e mitezza degli acquerelli, è la plasticità brillante e carnale delle sculture in ceramica smaltata.
Componente di non poco conto nella figurazione di Massaioli è l’aspetto ludico, spesso tinto di rimandi erotici, che emergono da un sapiente utilizzo di simbolismi, con riproduzioni di creature ibride e innestate (
Penipesci, 2008), talvolta attraverso morbidi baci. Come si evince anche dalla precedente produzione, l’autore è stato sempre affascinato dall’unione di varie specie animali con l’uomo, da una sorta di mescolanza allegorica che molto ha a che fare con la forza generatrice dell’atto riproduttivo. Organico e spirituale, mitologico e onirico, sacro e profano, conscio e inconscio si compenetrano con estrema naturalezza.
Tema centrale della personale – che si è parallelamente tenuta alla Galleria Ciocca di Milano – è l’Annunciazione manifestata oralmente, rivisitata mediante diverse tecniche. Una delle più esemplificative tempere, insieme a un omaggio espressamente rivolto a Torino (
Annunciazione sulla mia città, 2008), è posizionata senza null’altro intorno, un po’ in disparte. Qui appare la prima colomba, puro messaggero divino, che sarà riproposta in molteplici versioni: rossa di fiamma nell’atto di donare con un soffio ravvicinato il verbo a un orecchio, oppure sospesa in volo, dorata di magico e austero incanto.
L’intera sala è attraversata da un’installazione composita. Tracciata in blu, sui muri e sul soffitto, compie il suo percorso aereo una spirale; “
rappresentazione del flusso ciclico di energia insito nel principio del femminile”, come scrive James Putnam nel testo critico, ma anche traduzione iconografica dell’attività fervente che nutre la psiche.
Un sentiero di derivazione millenaria che approda alle varie sculture presenti, costellato di piccole gocce lucenti e vermiglie, emettenti seduzioni vitree, fino a convergere al nucleo materico, emblema del
conceptum per aurem.