A large piece of forniture partially obstructing a door è precisamente un grosso mobile di fattura classica, uno di quelli che ci aspetteremmo di trovare alla parete di un buon salotto borghese, posto di sbieco, a ostruire parzialmente la porta d’ingresso della galleria.
Basta questo, però, perché la dinamica dell’inaugurazione come evento mondano sia (forse finalmente) del tutto scombinata: la gente non sa bene come entrare, chi far passare e come, o se sostare dietro il mobile con un po’ di disagio mal dissimulato. Alla fine ripara nell’ufficio dove trova qualcosa da bere, un paio di facce conosciute con cui scambiare i soliti convenevoli improvvisamente divenuti quasi confortanti (ma questa non è una performance).
L’installazione di Martin Creed prosegue poi nell’ultima sala dello spazio espositivo, dove i visitatori si dirigono alla ricerca di un lavoro che sia infine riconoscibile come “opera”, seppure nell’ambito poliedrico e multilinguistico dell’arte contemporanea. Ma anche questa aspettativa è delusa: qui
Anche alcuni tra i frequentatori abituati ai lavori fatti su misura per épater il più postmoderno dei bourgeois non nascondono un po’ di disappunto. Il lavoro di Creed colpisce nel segno proprio per questo.
Con una buona dosa d’impertinenza da enfant terribile, Martin sottrae infatti il suo lavoro a qualsiasi definizione immediata, esauriente o unificante. Sottilmente, sollecita invece a fermarsi, scegliendo se divertirsi ad entrare nel gioco di scatole cinesi delle interpretazioni possibili oppure, al contrario, opporre un rifiuto polemico all’intera operazione. In ogni caso l’ambiente consueto della galleria si fa intenzionalmente scomodo, poco riconoscibile. E questo anche se Creed ricorre ad oggetti comuni della quotidianità, mettendo in atto una sorta di ready made rivisitato che diventa metafora e gioco.
In tal modo l’artista sposta le coordinate di ordinaria comprensione dell’opera e
L’assenza di una significazione univoca non vuol dire però mancanza di significato. Si tratta piuttosto di rendere possibile una comprensione molteplice e infinita, spezzando il gioco del linguaggio consueto e rendendo così inutilizzabili le categorie più frequentate da molti comuni conoscitori di arte contemporanea. E’ insomma una prospettiva estetica felicemente spaesante, che – con una buona dose di humor – rifiuta ogni dogmatismo e criterio d’interpretazione precotto. In un libero gioco in cui tutte le interpretazioni sono valide, e tutte sono parziali.
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è un mobile da sacrestia, stando a quanto ha detto il gallerista quando ho visitato la mostra
pare che sia un mobile da sacrestia
beh...io alla mostra ho parlato con lui, che non solo non ha precisato, ma in perfetto stile "nothing in particular" mi ha detto qualcosa come: "ok è un mobile, ma poteva anche essere questo", indicando una specie di presa della luce nella parete...
pure secondo me ci sta a prende per il cu**lo
GRANDE L'INTERVENTO DI STEFANIA!
finalmente un po' di sana cultura storica...
ma lo hai letto l'articolo su "vernissage" per la premiazione di Creed con la sua stanza vuota?...
archeologia!
orrore !
siamo nel quasi 2003 e stiamo ancora a giocare agli anni settanta? ma il signor creed, a londra, invece di studiare storia dell'arte, cosa ha fatto ??? da kounellis e i neon vari alla marina abramovic che non fa entrare il pubblico all'attico di sargentini vuoto, ne abbiamo già viste di queste cose !! beato il nostro creed che vive nell'isoletta del mar mediterraneo con la fidenzatina videoartistoide...se noi ancora ci facciamo prendere per il naso con queste stronzate !
a leggere i manuali di storia dell'arte bisognerebbe mandare gli abituè-mondani e il gallerista !