Accostando la parola natura alla parola arte, la prima immagine che viene in mente è una natura morta. Frutta, fiori, limoni, magari il cesto di frutta caravaggesca sulla filigrana delle vecchie, ormai obsolete, 100mila lire. Qualunque sia l’immagine, sarà sicuramente risalente a un movimento nato nelle Fiandre a fine Cinquecento. E se invece di viaggiare nel tempo e nello spazio rimanessimo in una Torino contemporanea? In questo caso, l’addizione di natura ed arte darebbe come risultato il Parco d’Arte Vivente.
Il primo novembre, con la mostra
Ecosoft Art, il Pav ha aperto definitivamente i battenti. Gli artisti in mostra raccontano il passato, il presente e il futuro del Parco ideato dall’artista
Piero Gilardi.
La narrazione per immagini e opere si articola in tre sezioni: Preludi, Arrivi e Visioni. Nella prima,
Andrea Caretto e Raffaella Spagna,
Gianluca Cosmacini,
Eleonora Diana e
Jun Tacita mostrano la genesi del museo sorto sull’ex area industriale delle officine Framtek. Arrivi raccoglie invece le opere che diverranno parte integrante della collezione del Pav: sono
Fontane,
Self bar e
La Grotte di
Michel Blazy,
Nebulosa di
Enrica Borghi,
Panchina Luminosa di
Fausto Mariotti,
Bioma,
Photosphor e
Sottobosco dello stesso Gilardi.
Infine, la sezione Visioni introduce il progetto di
First Curated Forest, un’idea di Nicolas Bourriaud, curatore dell’Art Program del Pav, che ricrea un frammento di habitat tipico della pianura preindustriale. All’interno di questa foresta è previsto poi
Biotope/Immigration, un impianto biotecnologico studiato dal biologo Giuseppe Camerini e da Francesco Mariotti, che popolerà il bosco di migliaia di lucciole.
All’esterno del museo si trova la prima grande opera del Parco, realizzata nel 2006 dall’artista francese
Dominique Gonzalez-Foerster. È
Tréfle, un enorme quadrifoglio fiorito nel cantiere del Parco, nel quale i cittadini potranno passeggiare liberamente, percorrendone la superficie erbosa e il canyon che lo circonda.
Da quest’opera emerge la filosofia del Parco intero. Spiega Gilardi: “
Il Pav è un’istituzione artistica che si configura come ‘sito d’arte’ nella natura. Un luogo in cui l’arte ha superato i tradizionali confini concettuali e linguistici per ‘contaminarsi’ con i settori più vivi e sperimentali della vita sociale odierna, come quello ambientalista. Il tutto è immerso in un’architettura del paesaggio molto vasta, 23mila metri quadrati, in cui non ci sono sentieri prestabiliti e che ospita anche una struttura espositiva biocompatibile che accoglie i servizi, le aule didattiche e le opere degli artisti”.
Tutto all’interno del Pav seguirà i cicli del vivente. La biocompatibilità sottrarrà le opere del Parco dalla perversità di un’“etica” del restauro che vuole le opere d’arte contemporanea come immortali (o almeno immuni al paradigma di Lavoisier secondo cui “tutto si trasforma”). Una legge che invece guida le metamorfosi del Pav e introduce l’insegnamento che ne è alla base: l’interesse e il rispetto verso tutto ciò che è vivente.