È lecito parlare di “rinascimento” a proposito dell’arte egizia, con un anticipo di oltre duemila anni rispetto a quello affermatosi al tempo di Lorenzo il Magnifico? Sì, a patto, però, di non cadere nell’errore di una lettura formale rigidamente legata ai canoni occidentali. Perché il legame sottile che li unisce è soprattutto ideologico, nel senso di recupero di un passato molto lontano. E la mostra archeologica in questione si propone proprio di dare visibilità a quanto di tale è stato prodotto in Egitto durante la XXV e XXVI dinastia dei faraoni nubiani, provenienti dall’attuale Sudan. Un regno collocabile tra la fine dell’VIII e l’inizio del VII secolo a.C., nel quale s’inserisce attivamente la figura di Harwa. Che “era il Grande Maggiordomo di Amenirdis I, la principessa nubiana che deteneva la carica di Divina Adoratrice, la funzione religiosa
Un personaggio, quindi, che s’insinua scaltramente nella vita politica del tempo acquistando via via posizioni sempre più di prestigio, fino a diventare governatore di tutto l’Egitto meridionale. Ne è prova il frammento superiore di un ushabty raffigurante lo stesso Harwa, che mostra caratteristiche affini a quelle delle statuine legate alla figura di Taharqo, uno dei faraoni nubiani, tutti reperti provenienti dal Museum of Fine Arts di Boston. Direttamente dalla collezione egizia del Louvre altrettanti ushabty, questa volta dai lineamenti femminili, e un cono funerario che appartenevano alla Divina Adoratrice del dio Amon, qui rappresentato sottoforma di statuetta bronzea a corpo umano (dal Museo Egizio di Torino) e di testa d’ariete in calcare, l’animale caro a questo dio (collezione privata).
Condotti dall’originale allestimento in un antro oscuro, dove un suggestivo intreccio di bende
Infine, la tomba di Harwa, visibile sottoforma di modellino architettonico e virtualmente fruibile attraverso il filmato che ne ripercorre le varie tappe di scoperta a partire dal 1995. Un vero e proprio monumento funebre sulle cui pareti interne si dipana la storia della sua vita-morte-rinascita che, se da un lato ne conferma l’avvenuta ascesa politica, dall’altro fa vacillare il castello di supposizioni finora formulate. Perché nella sala che doveva contenerne il sarcofago è stato ritrovato, invece, un tabernacolo per statue di divinità, mentre del corpo nessuna traccia. Chissà che “l’enigma di Harwa” non si risolva proprio durante gli scavi della missione archeologica italiana appena ripresi a Luxor. Trasmessi in diretta dai due accessi a internet, posti a coronamento della mostra.
claudia giraud
mostra visitata il 14 dicembre 2004
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