Nel ricco autunno del panorama torinese, âluceâ su unâaltra nuova
galleria. Uno spazio non di quelli â contrariamente a quanto si potrebbe
immaginare â âapri e chiudiâ. Ă
Luce, appunto, la project room nata dallâunione di tre
associati, tra cui figurano Nikola Cernetic e Monica De Cardenas. Ecco perchĂŠ
il sapore, almeno al palato, è vivo, speziato. La galleria intende infatti dar
voce agli emergenti piĂš interessanti e provocatori della scena artistica
internazionale. E quando câè provocazione, solitamente câè arguzia, sagacia e
ironia.
Ironici sono i dipinti di
Nadia Ayari (Tunisi, 1981; vive a New York),
artista giĂ presente nel 2008 nella mostra
Unveiled: Art From the Middle
East della
londinese Saatchi Gallery. La sua, però, è unâironia interpersonale o sociale,
poichÊ è contingente e situazionale, dal momento che i dipinti colpiscono
qualcuno o qualcosa nel momento stesso in cui lâartista ne parla. La critica è
ai conflitti mediorientali e alle scelte politiche americane; a situazioni globali
e controverse, comunque di natura violenta e adattabili a piĂš scenari bellici.
I dipinti, di piccolo e medio formato â dunque sempre misurati â
presentano paesaggi in cui sâintrecciano diversi elementi. In questi scenari apparentemente
ameni e dalle tonalitĂ pop compaiono dettagli di cupole di moschee (
Domes II), carri armati in processione (
Procession) o campi di fiori colorati che,
pronti da raccogliere, non nascondono la loro inquieta caducitĂ (
Picking
Flowers).
Molto vicina allâespressivitĂ del realismo sociale di
Philip Guston, di cui lâartista è profonda
conoscitrice, Nadia Ayari racconta con pennellate dense di materia, e dunque di
storia, un mondo a metĂ fra il reale e la visione. Nei suoi dipinti sono
infatti presenti chiari riferimenti a luoghi e persone, ma il contesto in cui
queste si muovono è privo di prospettiva: le figure sembrano spesso sospese e
vagano in spazi senza gravitĂ . Sono personaggi dal volto coperto, la cui testa
è a forma di pistola.
Ă la rappresentazione della politica, o meglio dellâuomo politico,
poichĂŠ â pur essendo un sostantivo femminile â la politica è ambito
tradizionalmente maschile. E lâuomo politico, colui che opera le scelte
necessarie alla crescita e alla sicurezza del paese, nei lavori di Ayari scende
direttamente in campo, milita e al tempo stesso si confonde tra la folla,
seminando terrore. Come accade nella donna dal grande occhio blu di unâaltra
tela, dove la figura indossa la maschera di un soldato del jihad.
BenchĂŠ nei dipinti sia evidente una forte vena personale ed
esistenzialista (lâartista ha vissuto lâ11 settembre e le elezioni
presidenziali del 2000), emerge unâestetica della violenza surreale e
visionaria. E le immagini parlano alla nostra esperienza, civile ed emotiva, di
testimoni del processo politico.
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Non capisco perchè viva a New York,dal momento che critica le scelte e le politiche Usa in Medio Oriente.Se le trova insopportabili,vada a vivere in un paese a lei piu' congeniale di cui condivida le politiche e le scelte.Francamente non se ne puo' piu' di questi maestrini saccenti e furbi(visto che l'anti americanismo è una scelta che paga,eccome se paga!!!!)non tirate in ballo l'ideologia(all'epoca i vari Van der Rohe,Gropius etc.se ne andarono dalla Germania nazista).Faccia lo stesso,sarebbe molto piu' coerente e dignitoso.Ma non pagante