L’antologica di
Arman (Armand Fernandez, Nizza, 1928 – New York, 2005) riserva molte sorprese allo spettatore. Non sono infatti solo presentate le opere più conosciute del suo repertorio, ma viene proposto un interessante percorso che prende in considerazione tutti i momenti topici della ricerca, approfondendo in modo particolare le fasi di transizione, ed evidenziando, di conseguenza, le articolazioni successive del lavoro. Si tratta dunque di una mostra che invita ad approfondire la conoscenza di un artista il cui contrassegno è una vita nomadica, manifestazione della volontà di non avere alcun punto fermo se non l’esperienza.
Il passaggio dall’astrazione pittorica di stampo tradizionale alla scrittura tramite oggetti intrisi d’inchiostro di china è ben evidenziata dai
Cachets, “forme post-pittoriche” che caratterizzano la sua stagione creativa alla fine degli anni ’50, e dalle
Allures d’objets, oggetti che lasciano sulla carta l’impronta della pittura a olio della quale sono impregnati. L’oggetto diventa il punto di riferimento obbligato del lavoro che, superando gradualmente i limiti della pittura tradizionale, fa sua la necessità di mostrare come l’arte invada la vita nelle sue manifestazioni più usuali.
Da queste osservazioni nascono le
Accumulations di oggetti quotidiani, quasi sempre usati, e le
Poubelles, “estensioni del corpo contemporaneo”, scarti assemblati in recipienti trasparenti, che assumono una forte valenza percettiva. Il percorso della mostra propone le accumulazioni più diverse, anche dal punto di vista cromatico: macinini da caffè, manometri, radio, spazzolini da denti, aspirine, forme per scarpe, pomoli per testate di letto, tubetti di colore di resina e di china, ventagli.
La serialità della disposizione pare distruggere l’unicità dell’oggetto stesso ma, a una riflessione attenta, si constata come l’insieme definisca un altro oggetto, differente, la cui specificità prende vita proprio dall’assemblaggio. “
All’interno del medesimo oggetto”, afferma Umberto Eco, “
esiste la possibilità di una modulazione del molteplice”.
È nella disarmonia che risiede l’armonia: se si osservano attentamente le accumulazioni, si vede come la casualità degli accostamenti suggerisca un’armonia fondata sulla provvisorietà e sulla dissonanza. Si veda, ad esempio, quale equilibrio palesino lavori quali
The birds 11 (1981), dove l’accumulazione di pinze metalliche assume la forma di uno stormo di uccelli, o
Accumulation Renault (1968 ca.), dove le testate di motore acquisiscono una decisa qualità pittorica o, ancora,
Tout ce qui brille n’est pas d’or (1975), un assemblaggio di lingotti d’oro, simile a un dipinto astratto.
È opportuno segnalare come sia ampia la selezione di opere incentrate su oggetti musicali, chitarre, violoncelli, trombe, contrabbassi, tagliati su pannelli di legno o nella resina, o bruciati nella resina o nel plexiglas, o inclusi nel cemento. L’oggetto assume una valenza narrativa, come del resto avviene anche in
Venus (1971), un busto che contiene bambole nella resina, o in
Venus (1994), costituito da etichette nella resina. In queste opere si evidenzia con chiarezza la traslazione metamorfica dell’oggetto quotidiano, che assume un diverso valore semantico.