La Fusion Art Gallery è una galleria sui generis nel panorama artistico torinese. A metà tra spazio espositivo no profit e kunsthalle mitteleuropea, pare rivolgere particolare attenzione ai giovani talenti non ancora emersi dal potpourri dell’offerta attuale. Questo dà un imprinting stimolante anche al visitatore meno avvezzo alle mostre d’arte contemporanea, che può aggirarsi senza preconcetti di sorta tra lavori eterogenei, ancora svincolati da qualsiasi firma stilistica riconoscibile. L’ampia area riservata alle esposizioni, foyer di uno spazio vivo e funzionale dove l’arte incontra il design, è interpretata da firme ancora acerbe, come Gaetano Buttaro, Gianluca Ghiodi, Dario Colombo, Stefania di Marco e Paolo di Montegnacco, che rivendicano il senso dell’arte, il suo esistere al di là delle mode e del disfattismo postmoderno.
Lontani dagli effetti “sensazionali” a cui troppo spesso le new entries hanno abituato, questi artisti pare abbiano in comune un’evidente volontà progettuale, sottolineata dall’utilizzo dei linguaggi tecnologici adoperati per veicolare i loro messaggi: fotografia, video e immagine digitale. In questo contesto il mezzo si fa protagonista dell’opera, tanto da svincolarsi dall’iconografia che presenta.
All’ingresso fa da padrona di casa una gigantografia volutamente sgranata in tutte le sue parti, eccezion fatta per la pistola in primo piano puntata verso lo spettatore, chiara e ammonitrice. L’autore dello scatto, Dario Colombo, dona al soggetto un fascino misterioso grazie a quella padronanza del mezzo che si riscontra in altri artisti in mostra, come ad esempio Cristiano de Gaetano e Tea Giobbio, il primo artefice di una fotografia “di genere” dai toni pop, la seconda abile compositrice di un collage fotografico dal sapore delicatamente onirico.
Citando Edoardo Di Mauro, curatore della mostra, “Il tutto parte dal ruolo assunto dalla fotografia che, nell’ultimo trentennio, si è riversata massiccia nel panorama eclettico della contemporaneità privilegiando la funzione piuttosto che l’oggetto e diventando gradualmente una delle dimensioni narrative maggioritarie, trascinando con sé il video, suo successore e derivato tecnologico”.
Suggestivo il lavoro presentato da Francesca Maranetto Gay, dove al video dalle tinte psichedeliche e dai ritmi deliranti si unisce la musica realizzata dall’artista stessa. Elisa Pavan, infine, ci trasporta in un mondo buio, abitato da larve che fluttuano nel vuoto, trasemttendo un senso di mistero e sacralità allo stesso tempo, moderne icone, per dirla con Di Mauro, di una “nuova contemporaneità”.
monica trigona
mostra visitata il 24 marzo 2006
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