La prima cosa che
ci si chiede visitando la Fine di qualcosa l’inizio di…, la personale di Paolo
Grassino (Torino,
1967) da Giorgio Persano, è se il peso di tutto il cemento versato in galleria
non rischi di sfondare solai e pavimento.Una volta scoperto
che il cemento è alleggerito da argilla espansa e polistirolo e che, quindi, la
paura di trovarsi sfracellati e rosolati sui fornelli infernali della scuola di
cucina del piano di sotto è immotivata, ci si può soffermare sui lavori in
mostra. Primo fra tutti, in ordine espositivo, Rivolta, un pilastro nel cui cemento è
scolpita capovolta la parola che dà il titolo al lavoro. Un’opera che sembra la
colonna di un edificio industriale con sopra inciso l’inno marxista alla
rivoluzione dei lavoratori; invece, spiega l’artista “è un invito intimo,
non di classe. La parola scritta al contrario invita a capovolgere lo sguardo.
Una metafora della necessità cambiare sempre punti di vista”.La rivoluzione di
Grassino è un concetto astronomico (dove per rivoluzione s’intende il moto di
un pianeta attorno al sole) che invita lo spettatore a “girare” non solo la
testa per leggere la scritta, ma anche i propri pensieri per non rimanere
chiuso nei propri giudizi (o pregiudizi).
Tutto il lavoro
dell’artista torinese è una costante riflessione sul concetto di barriera. Su
quei lacci che, come nella serie di fotografie Dolo d’impulso, sono invisibili ma che
continuano a lasciare sulla pelle i segni della costrizione. Nodi che
intrappolano corpo e mente e che fanno muovere e agire come in Controllo del
corpo. Video in
cui tre manichini umani roteano sostenuti per la testa da corde-cordoni
ombelicali che ne coprono il viso rendendoli cechi, sordi e muti. Triste
metafora dell’uomo moderno che sempre più dice, vede e sente solo quello che
gli viene iniettato dall’esterno.Ma quelli di
Grassino non sono solo lavori che parlano di gabbie mentali: le barriere di La
fine di qualcosa, l’inizio di… sono anche fisiche, architettoniche, geografiche. Come Abuso, la struttura in cemento armato che
blocca l’accesso a una sala della gallerie e, più ancora, come Lavoro rende
liberi, una
riproduzione in scala 1:2 del muro di Gaza su cui sono intagliate le tragiche
parole dell’entrata del campo di concentramento di Auschwitz. Un lavoro forte,
scomodo, che però lascia uno spiraglio di luce. Per leggere la scritta, anche
qui capovolta, bisogna aggirare il muro. Un’ulteriore breccia nel muro è data,
dice l’artista, “dalle lettere incise nel cemento. Le parole stanno bucando
il cemento, lo stanno erodendo”.
È proprio
attraverso il lavoro più duro e pesante (non solo in termini fisici) che lo
spettatore scopre che le barriere di Grassino non solo sono superabili, ma
rappresentano un invito alla trasgressione, al passare oltre. Ecco spiegata la
non finitezza del titolo della mostra: la fine di qualcosa è sempre un confine,
e per capire cosa segue i puntini di sospensione bisogna avere il coraggio di
fare un tuffo oltre questo limite. articoli
correlati
Semilibertà alla galleria Persano ;
Intervista a Paolo Grassino
stefano
riba
mostra visitata il
25 maggio 2010
dal
25 maggio al 24 luglio 2010
Paolo
Grassino – La fine di qualcosa, l’inizio di…
Galleria Giorgio
Persano
Piazza
Vittorio Veneto, 9 – 10124 Torino
Orario: lunedì
pomeriggio a sabato ore 10-12.30 e 16-19.30
Ingresso
libero
Info: tel. +39
011835527; fax +39 0118174402; info@giorgiopersano.com; www.giorgiopersano.com
[exibart]
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Interessante la mostra e Stefano simpatico come sempre
wow, potente e provocatorio come santiago sierra