Tornano di moda periodicamente, seguendo cicli secolari. Sono nate sottoterra, sulle volte della Domus Aurea, poi sono sparite per 1.400 anni. Riscoperte a fine Quattrocento, sono diventate così trendy che
Pintoricchio le ha usate per ricoprire le mura degli appartamenti di Papa Borgia e, più tardi,
Raffaello e
Giovanni da Udine le hanno dipinte nelle Logge Vaticane. Ora, dopo altri quattro secoli d’ombra, attraversano l’oceano per arrivare a Brooklyn, nello studio del giovane artista protagonista della riscoperta delle grottesche:
Greg Hopkins (Alabama, 1977; vive a New York).
Distractions, la sua prima personale europea e italiana, presenta alla Galleria Glance la versione contemporanea di quelle decorazioni che Vitruvio condannava e che Montaigne lodava, definendole “
varie e stravaganti”. Le sue tele sono il frutto di un processo di stratificazione che richiede, come ammette lo stesso artista, “
molto tempo e molto amore”.
Lo dimostra
The Eye Him Hates He Eye Are His Pee Hey Are Tea Why, opera che ha reso necessario quattro mesi di lavoro maniacale. A prima vista è un oscuro groviglio di petali, steli e foglie, il “racemo abitato” di rinascimentale memoria, popolato non da uccelli e insetti ma da lettere che si nascondono in una texture quasi monocoromatica. Parole in libertà, riportate nel titolo, tutte con un doppio significato. Come l’altra tela,
Dim heir’s party, dai colori brillanti, che dietro l’intreccio floreale nasconde un codice da decifrare. “
La festa degli ereditieri cupi”, recita la frase nascosta, che però nel dialetto dell’Alabama potrebbe essere foneticamente interpretata come “
Queste cose sono belle”. Oppure, cambiando accento sulla prima parola, potrebbe diventare “
La festa degli ereditieri stupidi”.
Distractions, il titolo della mostra, è ribadito in italiano anche in uno dei lavori esposti. Propone in chiave contemporanea, e assolutamente originale, le grottesche antiche. Ma non ci si aspetti d’incontrare ibridi fantastici, perché si troveranno fiori che si nascondono nell’intreccio principale o lettere da decifrare (a volte in modo cervellotico, altre immediato). “
Il mio è un vero e proprio codice che va decrittato”, dice Hopkins. “
Distraggo lo spettatore con un eccesso di informazioni in cui è facile perdersi”. Questo aspetto criptico evita “
che le opere siano interpretate in modo troppo semplicistico”.
Ciò che l’artista descrive, alternando tinte chiare e vibranti ad altre quasi monocromatiche e cupe, è il lato grottesco della comunicazione contemporanea. Fatta di un flusso impressionante di notizie, in cui l’interpretazione prevale sull’obiettività, la notiziabilità ha la meglio sull’effettiva importanza dei fatti e alcune parole sono messe al bando, come per scongiurare la mala sorte.
La citazione latina
Absit omen, non a caso, è il titolo del lavoro che idealmente apre la mostra. Il cui percorso, frase dopo frase, si chiude come la grammatica di tutte le lingue impone: con un gran punto color argento (su una piccola tela colorata).