Anche supponendo di avere Le chiavi del museo (2004), fare esercizio di ermeneutica a partire dai lavori di Giulio Paolini (Genova, 1940. Vive a Torino) è pur sempre un’impresa titanica. O meglio, ricorda quella compiuta da Sisifo, come ci ha spiegato Camus. Sarà forse meglio distendersi Sotto le stelle (1986/2004), sovrastati da un medagliere di astri dedicati ad Aby Warburg.
La personale da Tucci Russo, in altre parole, è un’ulteriore tappa che sviluppa e approfondisce il percorso intellettuale dell’artista di origini liguri. Con alcuni pezzi già documentati, come la splendida La casa brucia (1987/2004), reinterpretati come ormai abitualmente fa Paolini, indicando la doppia data di concezione. E lavori più recenti: dal magnifico Requiem (2003/2004), che costituisce un pianoforte a coda incernierando due tele sagomate, dis-organizzando cinque sedie in legno e sottolineando la contemporanea presenza di uno studio, che pare utilizzato (la lampada accesa) ma inefficace (i fogli bianchi); ai due -risolutamente del 2004- Interno/Giorno e il complementare Interno/Notte. Il primo crea l’interno diurno tramite un vano a parete ricavato con cinque tele bianche, al cui interno -nuovamente- campeggiano una cornice, un vetro e una tela sospesa; il secondo si accatasta su un cubo nero appoggiato al pavimento, e vari “portafoto” bruni fanno intravedere frammenti di mappe astrali di un blu intenso.
Giunti però in quella sala, lo sgocciolio si fa pressante, richiamando inevitabilmente l’attenzione. Nella piccola project room al piano ammezzato, Gianni Caravaggio (Rocca San Giovanni, Chieti, 1968. Vive fra Milano e Stuttgart) comincia a imbastire il suo gioco antinomico e processuale, mescolando le carte di effetti e Cause (2004), in modo tale che nascano gocce di ghiaccio dall’alluminio fuso, in un video che destabilizza ogni pigrizia percettiva. Non è che l’inizio. Allestite con sapienza rara, le opere sono un profluvio inestinguibile ed energetico di forze freezed. Ovviamente il “modello” di Cause e i due esemplari di My Brain and Thought (2003), composti dalla fusione porosa in alluminio e dal ghiaccio che, parrebbe, ha loro dato forma, in un richiamo alla fenomenologia di Merleau-Ponty che andrebbe approfondita.
Leggerezza e pesantezza sono indizi quasi illeggibili, che percorrono maniacalmente e letteralmente l’intera personale e si sostanziano in Light Heavy Molecule, proiezione in marmo e polistirolo che rammenta l’analoga installazione in zucchero presentata ad Artissima 2002. Un inganno percettivo, ancora, poiché i cubetti dei due materiali di peso specifico così differente, in una scala cromatica in quattro stazioni, sono tutt’altro che distinguibili. Continua l’indagine che coinvolge la contro-intuitività Universo positivo, universo negativo, ove i ruoli si invertono perdendo aderenza fra polistirolo, lenticchie e stampe fotografiche. Il tutto riassumibile in un certo senso nei celeberrimi paradossi di Zenone, che lo stesso Caravaggio cita e “illustra” nello Starsystem (2002).
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