Se l’intento fosse quello di dimostrare l’aspetto puramente decorativo che assumono certe forme artistiche contemporanee, allora l’operazione si potrebbe definire conclusa. Infatti, ad un primo sguardo i lavori di Francesco Simeti, disseminati lungo le pareti e i pavimenti della galleria, risultano essere delle installazioni, delle stampe e delle tappezzerie che addobbano come delle improbabili ghirlande (garlands) gli spazi da white cube della Vitamin. Si contempla tutto ciò asetticamente e si sarebbe tentati di fermarsi all’apparenza se non si cominciasse a mettere a fuoco le presunte decorazioni che emergono da tutte le sue opere. Per esempio, che la serialità di uno stesso modulo ripetuto ossessivamente all’infinito su una carta da parati nasconde, in realtà, immagini di guerra. O che la fotografia apparentemente naturalistica di un cervo si rivela, poi, essere quella di un bersaglio utilizzato dai cacciatori per allenarsi a sparare. Si tende progressivamente ad abbandonare la superficialità della prima lettura per addentrarsi verso livelli di significato più profondo. E affinché questo lento processo di svelamento possa avvenire, è necessaria una particolare attenzione. Esattamente quella che si propone di suscitare Simeti. Perché se il primo impatto è di carattere puramente estetico e formale, il passo successivo da fare per interpretare il suo pensiero è quello di porsi tutte quelle domande che la visione di tali opere solleva.
Dietro quelle tappezzerie da salotto borghese si nasconde un contenuto di denuncia del bombardamento di immagini, a volte acritico e indiscriminato, perpetuato dai mass-media. Senza che gli vengano fornite chiavi di lettura adeguate o proposte di riflessione, chi guarda rimane un passivo spettatore di tutto ciò che gli capita sotto gli occhi, senza essere messo nelle condizioni di poter coglierne il vero significato. E attraverso questa operazione artistica che utilizza l’esasperazione dei toni e la ricontestualizzazione di immagini tratte da riviste e quotidiani, Simeti intende sottolineare l’invisibilità di un messaggio “altro”. L’assuefazione mediatica che anestetizza gli animi e appiattisce i pensieri.
claudia giraud
mostra visitata il 3 febbraio 2005
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