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La speculazione intellettuale deriva dallo sguardo identificante, agganciatore”. Con queste parole, la semiologia Julia Kristeva affrontava negli anni ‘60 il dilemma dell’identità, divenuto cruciale nel mondo contemporaneo. L’affermazione ben si attaglia alla fotografia, all’impatto della percezione con l’immagine, alla capacità di trasformare un linguaggio freddo, neutro, in un catalizzatore di situazioni, che si ri-adegua costantemente alla mutevolezza degli eventi.
La fotografia di
Aurore Valade (Villeneuve sur Lot, 1981; vive a Marsiglia) rientra in quella dimensione del medium che tempo fa definimmo “introiettiva”: il soggetto investigato diventa il centro di un’attenta analisi che dilata al massimo le possibilità del mezzo tecnico. In questo caso sono preponderanti la costruzione scenografica, il richiamo alla pittura di matrice classica, la composizione studiata fin nei minimi dettagli, il dialogo tra assenza e presenza, la saturazione dello spazio rappresentativo.
Valade propone interni con figure. La prima notazione riguarda il fatto che tutte le figure, tranne una, sono femminili, colte all’interno della dimora-rifugio, che fissa il senso dell’appartenenza, lontano dal mondo: un vero e proprio microcosmo che diventa lo specchio emblematico della realtà esterna.
Le immagini sono dominate da dicotomie: assenza-presenza, empatia-straniamento diventano i poli tra i quali si distendono le vicende esistenziali. Tutto appare sospeso, le posture sembrano studiate a effetto, per suscitare una reazione forte nello spettatore. Il tempo è raggelato e rarefatto, lo spazio s’identifica con l’interiorità, è saturo di particolari, talora insignificanti, che narrano frammenti di storie ordinarie. L’immagine fotografica è giocata interamente fra realtà e simbolo: valga, tra gli altri elementi, lo specchio, un fenomeno soglia che, come afferma Umberto Eco, “
marca i confini tra immaginario e simbolico”.
Se ci addentriamo nel mondo dell’artista, possiamo scoprire come la realtà sia un intreccio di situazioni indecise, indefinibili appieno, solo suggerite, abbozzate.
Chanel n.5 (2005) presenta due figure femminili, sedute su un letto, in posa come davanti a una macchina da presa: una luce soffusa illumina tutti i particolari, quali tappeti, miniature e oggetti. In
Toilette du chien (2004) è posta in primo piano una cucina, ingombra degli oggetti più diversi, ammassati in modo da generare un effetto di disordine.
Al contrario, ordine e perfezione, se pur in un’atmosfera quasi stagnante, palesa
Coeur Crocodile (2005): una figura femminile, in abito da sera, è seduta su un prezioso tappeto, con un cane vicino a sé, il braccio poggiato a una poltrona, mentre sulla parete in fondo si scorgono dipinti di stampo classico. In
Feria du Riz (2006) una figura maschile, nuda, seduta a un tavolo, pare confrontare la sua mascolinità con quella del torero della locandina appesa alla parete. Il fumo della sigaretta evidenzia una pausa di riflessione, la finestra aperta pare invitare a uscire fuori dallo spazio chiuso, verso la libertà.