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09
luglio 2008
Michelangelo Pistoletto (Biella, 1933) inizia a dipingere nella seconda metà degli anni ’50, avviato sin dall’adolescenza alla pratica del restauro dal padre, pittore e restauratore. Dal 1958 prende avvio “il lavoro di ricerca su quello che sta dietro di me”, afferma Pistoletto figlio. “Tutto il mio lavoro consisteva nel riempire il vuoto che stava dietro la mia figura che dipingevo in grandezza naturale. Avevo sempre uno specchio a lato dove mi guardavo per rappresentare la mia persona sulla tela. Istintivamente ho cercato di riprodurre lo specchio sulla tela”.
Quale sia l’importanza della superficie specchiante nella ricerca dell’artista, è parte della storia dell’arte contemporanea: essa attiva la quarta dimensione, rendendo sostanziale la dialettica di realtà e apparenza, all’interno di una complessa articolazione spazio-temporale. Sovrapponendo la pittura allo specchio, si crea “un oggetto figurativo che consente di approfondire ulteriormente l’indagine all’interno della vita”.
La mostra, proposta nello spazio della galleria che da sempre segue l’iter di lavoro dell’artista biellese, è interamente giocata sulla dialettica padre-figlio, che diventa anche un confronto di media espressivi, con richiami profondi, volti ad annullare la distanza dello spazio e del tempo, come mostrano i lavori la cui datazione abbraccia un ampio arco temporale. L’“aggiornamento” dei contenuti è calato all’interno di una metodica la cui attualità appare assoluta quarant’anni dopo.
L’azzeramento delle distanze è evidente nell’opera che reca lo stesso titolo dell’intera mostra (Ettore e Michelangelo i coetanei), collocata nell’ingresso, quale introduzione: si tratta delle immagini fotografiche del padre e del figlio, accostate contiguamente sulla parete, ritratti alla stessa età (che corrisponde a quella attuale del figlio). Il gioco allusivo continua in tutte le sale quale leitmotiv del percorso.
Nello spazio centrale, due nature morte dipinte dal padre, realizzate nella prima metà degli anni ’70, caratterizzate, come tutte quelle in mostra, da una ridondanza iperrealista di oggetti, dialogano con due quadri specchianti, l’uno con bottiglia e l’altro con un cavalletto, simbolo della pittura, messa in discussione dall’Arte Povera negli assunti di fondo. Si prosegue, in questo rimbalzo di riferimenti, tra nature morte di stampo classico e nature morte contemporanee, una delle quali ha per oggetto il computer, simbolo per eccellenza dell’era tecnologica, e con quadri specchianti nei quali figure femminili, in una postura assorta, paiono racchiudere un messaggio segreto.
L’effetto della mostra è di grande forza percettiva, in quanto invita lo spettatore a entrare in un mondo dove “l’arte è il nostro gene”, dove tutto viene rimesso continuamente in discussione per trasformare e ricreare, senza forzature aprioristiche.
Quale sia l’importanza della superficie specchiante nella ricerca dell’artista, è parte della storia dell’arte contemporanea: essa attiva la quarta dimensione, rendendo sostanziale la dialettica di realtà e apparenza, all’interno di una complessa articolazione spazio-temporale. Sovrapponendo la pittura allo specchio, si crea “un oggetto figurativo che consente di approfondire ulteriormente l’indagine all’interno della vita”.
La mostra, proposta nello spazio della galleria che da sempre segue l’iter di lavoro dell’artista biellese, è interamente giocata sulla dialettica padre-figlio, che diventa anche un confronto di media espressivi, con richiami profondi, volti ad annullare la distanza dello spazio e del tempo, come mostrano i lavori la cui datazione abbraccia un ampio arco temporale. L’“aggiornamento” dei contenuti è calato all’interno di una metodica la cui attualità appare assoluta quarant’anni dopo.
L’azzeramento delle distanze è evidente nell’opera che reca lo stesso titolo dell’intera mostra (Ettore e Michelangelo i coetanei), collocata nell’ingresso, quale introduzione: si tratta delle immagini fotografiche del padre e del figlio, accostate contiguamente sulla parete, ritratti alla stessa età (che corrisponde a quella attuale del figlio). Il gioco allusivo continua in tutte le sale quale leitmotiv del percorso.
Nello spazio centrale, due nature morte dipinte dal padre, realizzate nella prima metà degli anni ’70, caratterizzate, come tutte quelle in mostra, da una ridondanza iperrealista di oggetti, dialogano con due quadri specchianti, l’uno con bottiglia e l’altro con un cavalletto, simbolo della pittura, messa in discussione dall’Arte Povera negli assunti di fondo. Si prosegue, in questo rimbalzo di riferimenti, tra nature morte di stampo classico e nature morte contemporanee, una delle quali ha per oggetto il computer, simbolo per eccellenza dell’era tecnologica, e con quadri specchianti nei quali figure femminili, in una postura assorta, paiono racchiudere un messaggio segreto.
L’effetto della mostra è di grande forza percettiva, in quanto invita lo spettatore a entrare in un mondo dove “l’arte è il nostro gene”, dove tutto viene rimesso continuamente in discussione per trasformare e ricreare, senza forzature aprioristiche.
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Galleria Giorgio Persano
Piazza Vittorio Veneto, 9 – 10124 Torino
Orario: da martedì a sabato ore 10-12.30 e 16-19.30
Ingresso libero
Info: tel. +39 011835527; fax +39 0118174402; info@giorgiopersano.com; www.giorgiopersano.com
[exibart]
Dignità: parola senza alcun significato!!!