Il variegato universo futurista è rappresentato dai curatori Sabrina Raffaghello e Roberto Borghi in una mostra suddivisa in diverse sezioni a Palazzo del Monferrato, al Museo del Cappello e alla Banca d’Italia.
A Palazzo del Monferrato sono raccolte il maggior numero di opere, dai preziosi manifesti a quadri e sculture, fotografie e libri d’artista, insieme a una sorta di mostra nella mostra –
The visionary man – dedicata ai disegni dell’architetto
Antonio Sant’Elia. Una sezione particolare in questa sede è dedicata al Futurismo piemontese, così come un buono spazio è consacrato al ruolo delle (poche) donne che parteciparono al movimento.
Il tema della moda è sviluppato al Museo del Cappello, attraverso alcuni dei celebri bozzetti di
Giacomo Balla – i
vestiti antineutrali da uomo e da donna -, alcune stoffe con disegni di
Depero, il
Gilet futurista che disegnò per
Marinetti e il basco futurista.
Nell’atrio della Banca d’Italia compaiono invece alcuni oggetti di design creati sulla scia delle forme e dei cromatismi futuristi da
Massimo Sansavini e
Marco Lodola, insieme a un tessuto ricamato di
Sofia Rocchetti, alcuni abiti di
Enrico Coveri e una serie di opere su carta di
Ugo Nespolo.
Costruita su un rigoroso impianto scientifico e priva d’effetti speciali acchiappa-turisti, la mostra si distingue per la qualità dei pezzi scelti.
Non un affastellamento di opere sostenute semplicemente dalla celebrità del nome, ma un progetto calibrato, studiato sul valore della parola nella poetica futurista. Strumento di comunicazione, propaganda e teoria, il manifesto compare nelle sue varie edizioni in una delle sale centrali del Palazzo. Tra questi, il
Manifesto della Ricostruzione futurista dell’universo è fondamentale per comprendere il concetto di
Gesamtkunstwerk: l’opera d’arte totale che fa un tutt’uno del rapporto arte-vita. “
Vogliamo realizzare questa fusione totale per ricostruire l’universo rallegrandolo, cioè ricreandolo integralmente”, scrivono infatti Balla e Depero nel 1915.
Perciò l’adesione alla sperimentazione tecnica e l’apertura interdisciplinare alle diverse arti, evocate in mostra attraverso opere e fotografie, è al tempo stesso mezzo e fine della poetica futurista. Lo si vede bene nell’interessante sezione documentaria sui personaggi e gli ambienti futuristi, in cui compaiono gli oggetti di design o le proto-performance teatrali, esempi lampanti di quella “
fusione totale”.
Rispetto alla cura con cui il progetto generale è stato studiato, gli allestimenti sono meno incisivi. Al di là del valore estetico dell’immagine-logo di Nespolo, gli apparati scenografici risultano poco significativi e a tratti ingombranti (come le didascalie). Giocare con lo spazio attraverso la grafica – specialmente in ambienti difficili come la hall della Banca d’Italia – sarebbe stato più che lecito in un’occasione in cui la parola è insieme immagine iconica, contenuto e forma.
Un consiglio: a fianco alla Banca d’Italia, sul muro esterno del Palazzo delle Poste, si estende il lungo mosaico che
Gino Severini realizzò nel 1939. Un buon modo per terminare la visita in tema.