Due sono i principali punti di forza della mostra: innanzitutto l’essere il punto d’arrivo di una vasta ricerca documentaria, che ha coinvolto tutto il territorio piemontese (e in parte anche la Liguria), studiando gli effetti delle confische napoleoniche e della soppressione degli ordini ecclesiastici sulla dispersione del patrimonio artistico locale. Inoltre la creazione di un’occasione di incontro con alcuni capolavori della pittura rinascimentale piemontese, che hanno lasciato la loro collocazione originaria perdendosi nei meandri del collezionismo pubblico e privato, in certi casi mutili o divisi in più parti.
Tra i commissari che con la Restaurazione si recarono a Parigi per recuperare le opere d’arte sottratte dai francesi ai vari stati europei c’era anche (assieme ad Antonio Canova, le cui effigi di Paolina Borghese erano peraltro giunte a Torino grazie al marito Camillo ivi insediato come governatore nel 1808) l’avvocato piemontese Lodovico Costa. Fra i dipinti che egli riuscì a riportare in patria sono da ricordare il Figliol Prodigo di Guercino (scelto nelle raccolte sabaude dal generale Jourdan) e il Trittico dell’Epifania del Maestro di Hoogstraeten (pittore anversano dell’inizio del ‘500) che Denon aveva requisito a Savona durante il suo viaggio in Liguria, per destinarlo al Louvre. Sfuggì al soggiorno parigino invece il Trittico della Crocifissione, di un altro raffinato artista del Rinascimento fiammingo, il Maestro delle Mezze Figure Femminili (celebre per l’eleganza dei suoi personaggi muliebri) approdato poi alla Galleria Sabauda.
La ragione principale che dovrebbe attirare ad Alba l’amatore d’arte è comunque il convegno di tavole di Primitivi piemontesi d’eccezionale valore. Basterebbe l’opportunità di vedere riuniti tre pannelli di un polittico di Antoine de Lonhy (il maestro tolosano attivo tra Francia, Catalogna e territori sabaudi), tra cui la Natività ora ad Anversa. Col soggetto dell’Adorazione del Bambino si confrontano anche alcuni artisti più o meno direttamente legati a Martino Spanzotti, da Aimo e Balzarino Volpi a Defendente Ferrari (con una tavola ora a Berlino), passando per il misterioso Maestro della Madonna dell’Olmo. Peccato che a completare la genealogia spanzottiana non sia potuta giungere da Berlino anche la pala del Maestro di Crea. Sul tema della Madonna col Bambino in trono si possono paragonare la versione di Spanzotti -un’opera matura ancora memore della cultura di matrice padovana- con quella di un altro protagonista del Rinascimento piemontese, il piccardo (ma attivo tra Saluzzese e Provenza) Hans Clemer.
Cosa dire ancora dell’infilata di dipinti (quasi tutti di eccellente qualità) di Defendente Ferrari, o della possibilità di ammirare ricostruito il Polittico di S. Silano di Gaudenzio Ferrari? La scuola vercellese è rappresentata anche da alcuni raffinati frammenti di Bernardino Lanino e dell’alternativo Maestro del Polittico di Ciriè. Una chicca per gli amanti dei rebus iconografici è poi la tavola double-face con l’Orazione nell’orto e la Natività di un anonimo vicino a Gandolfino da Roreto. Varrebbe infine da solo il viaggio ad Alba (per quanto la sua presenza non sia del tutto giustificabile a livello scientifico) il trittichetto newyorkese di Donato de’ Bardi.
stefano manavella
mostra vista il 26 dicembre 2005
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