Gli artisti in mostra sono giovani – fatta eccezione per i
due “maestri” Huang Yong Ping e Cai Guo-Qiang -, cosmopoliti e
sorprendentemente critici nei confronti dell’era contemporanea e delle sue
lampanti contraddizioni. ‘Globalizzazione’ è dunque la parola-chiave intorno a
cui prendono forma la maggior parte delle sperimentazioni, garbatamente
oscillanti fra Oriente e Occidente.
Ancor prima di entrare nelle stanze della pinacoteca, ecco
esibirsi stentorea la barca capovolta di Cai
Guo-Qiang (The Eagle has arrived!), quasi antropomorfizzata nella
sua “fierezza” e pronta ad accogliere lo spettatore nella rampa nord del
Lingotto. Un modo tanto grandioso quanto efficace per avvicinare chi osserva
alla dimensione più emotiva dell’estetica. L’impatto monumentale si ripropone
nella sala principale con il Colosseum di Huang Yong Ping, opera
costruita in ceramica e terriccio, a sua volta immersa in una lussureggiante
danza di piante.
Ma è nello spazio di Xu Zhen che si inizia
veramente a riflettere. L’artista mette in scena la minaccia postmoderna del
terrore ricorrendo alla costruzione di un attacco fantasma, tradotto sia in
foto che in una gigante installazione mobile attraverso i principali emblemi
della guerra. Parodia, ancor prima che rappresentazione, fuoristrada e carri
armati in miniatura sono qui eloquenti testimoni del dramma contemporaneo.
Dramma irrisolto, e proprio per questo così affascinante.
Le corde in giornale e lattice di Xue Tao (Rope Coil) guidano il visitatore verso
lo spazio sottostante, ma non senza ostacoli. Misteriosi tendoni scuri lasciano
infatti prefigurare il passaggio all’audiovisione, promettendo al di là di essi
un’esperienza quantomeno intrigante. All’interno dell’ambiente, musica
electro-pop e luci soffuse concorrono a valorizzare un carismatico “cinema di
vetro”, mentre il video di Cao Fei (i.Mirror: a Second Life Cit) trascina gli spettatori in una
virtualità prossima al performante e teatralmente in bilico tra l’essere e
l’apparire.
Giunti al piano inferiore, è d’obbligo un quarto d’ora per
poter osservare l’ipnotica perfezione della metropoli di Liu Wei (Love
it, Bite it). Creata esclusivamente in pelle di bue e di maiale, porta con
sé la tradizione delle factory unita all’utilizzo di nuove tecniche
compositive, celebrando un connubio non solo cerebrale, ma anche spirituale,
tra gli stilemi del vecchio e le integrazioni del nuovo. E ciò senza mai
tradire le origini antiche e sacrali del Paese, atteggiamento che oggi trova
eguali solo alla radice della più grande arte indiana.
Intanto installazioni acustiche, saponette usate, memorie
in valigia e metafore tridimensionali abitano lo spazio espositivo con poetico
eclettismo. Anche senza Zhang Huan, questa è la Cina.
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margherita artoni
mostra visitata il 30 novembre 2010
dal 6
novembre 2010 al 27 marzo 2011
China Power Station
a cura di Julia Peyton Jones, Gunnar B. Kvaran e Hans
Ulrich Obrist
Pinacoteca Giovanni e Marella Agnelli
Via Nizza, 230 (zona Lingotto) – 10126 Torino
Orario: da martedì a domenica ore 10-19
Ingresso: intero € 7; ridotto € 6
Catalogo Electa
Info: tel. +39 0110062008; fax +39 0110062115; info@pinacoteca-agnelli.it; www.pinacoteca-agnelli.it
[exibart]
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Mostra molto interessante, anche se in certe opere c'è una certa banalità troppo europea