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28
luglio 2009
fino al 27.IX.2009 C.A.D.A. Torino, Museo Diffuso
torino
Dalla dittatura dell'arte all'arte nella dittatura. Al Museo della Resistenza le azioni del C.A.D.A. compiute nell’era Pinochet. Obiettivo: non lo scontro col regime, ma il recupero della dignità civile...
di Stefano Riba
Leggi 11 settembre e la memoria va alle torri gemelle, a Bin Laden, alla guerra in Afghanistan, insomma al 2001. Ma l’11 settembre è anche quello del 1973, il giorno del golpe cileno in cui morì Allende e a cui seguì il “regno” di Pinochet.
È in questo scenario dittatoriale, durato fino al 1990, che nacque il gruppo C.A.D.A., acronimo di Colectivo Acciones de Arte. Un collettivo nato nel 1979 dall’incontro del sociologo Fernando Balcells, della scrittrice Diamela Eltit e del poeta Raúl Zurita con gli artisti visivi Lotty Rosenfeld e Juan Castillo.
Cinque intellettuali che videro il loro Paese passare di colpo da un socialismo umano a un regime atroce. E che, nel post-11 settembre, dopo aver assistito all’eclissi del panorama culturale cileno passato dal Museo de la Solidariedad di Allende, un museo che raccoglieva opere donate dai maggiori artisti internazionali, alla proibizione di ogni forma di pensiero creativo, decisero di reagire. Non con la violenza, ma con le armi loro proprie, quelle della cultura.
Oggi, a distanza di trent’anni dalla fondazione del gruppo, il Museo Diffuso della Resistenza dedica ai lavori del collettivo una mostra monografica, in cui sono visibili i video delle loro azioni (le cosiddette acciones) che avevano come scopo il recupero della dignità civile, della speranza e la sensibilizzazione dell’opinione pubblica.
Si comincia con Para no morir de hambre en el art e Inversión de Escena, le loro prime opere (che oggi chiameremmo flash mob) datate 1979. Due azioni che fondono gli ambiti disciplinari propri di ciascun membro dei Cada: una performance in cui del latte viene donato alla popolazione di un quartiere povero; la stampa, nel giornale di opposizione “Hoy”, di una pagina totalmente bianca; la lettura del discorso No es una aldea, esortazione contro la dittatura e, infine, la chiusura di una cassa di plexiglas contenente cento buste di latte, una copia della rivista “Hoy” e il nastro audio del discorso.
Da subito si capisce che la forza sovversiva del gruppo sta nella decisione di non creare lavori direttamente contro l’oppressore, ma nel dedicarsi ai migliaia di oppressi. La vera ribellione dei Cada è parlare un linguaggio semplice, abbattere le barriere fra istituzioni culturali e vita collettiva, rendere l’arte indispensabile come il latte. “Immaginate questa pagina bianca, che raggiunge ogni angolo del Cile, come il latte quotidiano da consumare”, scrivono in una loro azione.
Non è l’arte di chi si arrocca sull’Aventino, è quella di chi scende tra il popolo. Come i 400mila volantini di Ay Sudamerica! lanciati da sei aerei civili e planati sulle strade dei quartieri popolari di Santiago. Volantini in cui la popolazione veniva incitata a recuperare la propria dignità. Ancora una volta la volontà del Cada di confondersi con la gente è messa per iscritto. “Noi siamo artisti, scrivono, ma ogni uomo che lavori per l’espansione, anche solo mentale, dei suoi spazi di vita è un’artista”.
È in questo scenario dittatoriale, durato fino al 1990, che nacque il gruppo C.A.D.A., acronimo di Colectivo Acciones de Arte. Un collettivo nato nel 1979 dall’incontro del sociologo Fernando Balcells, della scrittrice Diamela Eltit e del poeta Raúl Zurita con gli artisti visivi Lotty Rosenfeld e Juan Castillo.
Cinque intellettuali che videro il loro Paese passare di colpo da un socialismo umano a un regime atroce. E che, nel post-11 settembre, dopo aver assistito all’eclissi del panorama culturale cileno passato dal Museo de la Solidariedad di Allende, un museo che raccoglieva opere donate dai maggiori artisti internazionali, alla proibizione di ogni forma di pensiero creativo, decisero di reagire. Non con la violenza, ma con le armi loro proprie, quelle della cultura.
Oggi, a distanza di trent’anni dalla fondazione del gruppo, il Museo Diffuso della Resistenza dedica ai lavori del collettivo una mostra monografica, in cui sono visibili i video delle loro azioni (le cosiddette acciones) che avevano come scopo il recupero della dignità civile, della speranza e la sensibilizzazione dell’opinione pubblica.
Si comincia con Para no morir de hambre en el art e Inversión de Escena, le loro prime opere (che oggi chiameremmo flash mob) datate 1979. Due azioni che fondono gli ambiti disciplinari propri di ciascun membro dei Cada: una performance in cui del latte viene donato alla popolazione di un quartiere povero; la stampa, nel giornale di opposizione “Hoy”, di una pagina totalmente bianca; la lettura del discorso No es una aldea, esortazione contro la dittatura e, infine, la chiusura di una cassa di plexiglas contenente cento buste di latte, una copia della rivista “Hoy” e il nastro audio del discorso.
Da subito si capisce che la forza sovversiva del gruppo sta nella decisione di non creare lavori direttamente contro l’oppressore, ma nel dedicarsi ai migliaia di oppressi. La vera ribellione dei Cada è parlare un linguaggio semplice, abbattere le barriere fra istituzioni culturali e vita collettiva, rendere l’arte indispensabile come il latte. “Immaginate questa pagina bianca, che raggiunge ogni angolo del Cile, come il latte quotidiano da consumare”, scrivono in una loro azione.
Non è l’arte di chi si arrocca sull’Aventino, è quella di chi scende tra il popolo. Come i 400mila volantini di Ay Sudamerica! lanciati da sei aerei civili e planati sulle strade dei quartieri popolari di Santiago. Volantini in cui la popolazione veniva incitata a recuperare la propria dignità. Ancora una volta la volontà del Cada di confondersi con la gente è messa per iscritto. “Noi siamo artisti, scrivono, ma ogni uomo che lavori per l’espansione, anche solo mentale, dei suoi spazi di vita è un’artista”.
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a cura di Lorena Tadorni
Museo Diffuso
Corso Valdocco, 4/a (zona Rondò della Forca) – 10122 Torino
Orario: da martedì a domenica ore 10-18; giovedì ore 14-22
Ingresso libero
Info: tel. +39 0114363470; fax +39 0114362034; info@museodiffusotorino.it; www.museodiffusotorino.com
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