Fedele alla consuetudine di presentare più mostre contemporaneamente, la Gas Gallery affianca la produzione di due artisti apparentemente dissimili, che tuttavia hanno in comune una carica espressiva di forte impatto, nonché un uso pregnante di evocazioni e simbolismi.
Scene, paesaggi e figure respirano nella nebbia, coperte da manti semitrasparenti. Tutto appare lontano, i contorni appena percepibili, il ritmo delle composizioni rallentato, quasi silente: la doppia personale apre con un gruppo di opere inedite di Francesco Sena (Avellino, 1966; vive a Torino), collocabili al limite tra pittura ed arte plastica. La tecnica impiegata è assai particolare: pannelli lignei al posto delle tele, accurate applicazione di plastilina che danno forma e colore ad ogni elemento, un doppio strato di cera che vela il tutto.
Sapientemente in equilibrio tra cronaca e mitologia, verità ed incantesimo, aspettativa e ricordo, i racconti di Sena si dispiegano in dimensioni nebulose, quasi sottomarine. Sono istantanee in cui lo spazio-tempo è un fattore relativo e totalizzante insieme, come fossero state scattate in un non-luogo dove tutto può accadere. O in un presente eterno. Il dittico blu Attraversami in 13 secondi titola l’esposizione. Un po’ alla maniera di Marlene Dumas, poi, una giovane donna è distesa supina, inerte: pare una bella addormentata o un’Ofelia contemporanea (Preme, 2006).
Se da un lato l’immagine incerta può generare smarrimento, dall’altro possiede una sorprendente capacità specchiante, attingendo al patrimonio comune dei sentimenti e dando origine ad una serie di rimandi emozionali e catene di senso (Michele Rak, Logica della fiaba, 2005, Mondadori). L’indeterminatezza quale fattore unificante rende ogni contesto vagamente familiare e riconoscibile, similmente a quanto accade con gli anonimi protagonisti di Valerio Berruti, altro artista piemontese. L’indefinito diventa possibile, somigliante proprio perché neutro.
Al piano inferiore è allestita la personale di Jelena Vasiljev (Zrenjanin, Serbia, 1976), una spontanea quanto necessaria evoluzione del lavoro presentato a Torino, sempre da Gas, nel 2004. Ci sono ancora i lupi dal corpo scarno, “commoventi nella loro disperata animalità” (Francesco Poli), anche se il cuore della mostra è rappresentato dal risultato di una performance realizzata a Villa Capriglio, sulla collina che oltre il Po guarda Torino (Pensavo di essere un lupo, marzo 2006).
In un pentolone di ferro, rimestando con pazienza e perizia, Vasiljev ha cucinato vere e proprie sculture di carne, inquietanti come bambolette vodoo. Scheletri di rametti di legno ricoperti di polpa cucita, che poi sono stati distribuiti ai presenti per l’assaggio. Nell’ambìto di un’istallazione composita, il grande calderone campeggia in galleria al centro dello spazio; sullo sfondo è proiettato il video che documenta l’evento. A lato, tutt’altro che marginale, è montata una griglia con appese le reliquie animali rimaste inutilizzate.
Mediante la figura del lupo, predatore e vittima malinconica al contempo, l’artista interpreta il concetto di forza intesa come violenza aggressiva – pulsione naturale ed istintiva legata alla sopravvivenza, ma anche strumento crudele in seno alle società civilizzate.
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di gas ne avete inalato troppo... galleria in caduta senza paracadute?
E Sena... politically correct scadente! Forse cambiando lavoro...