Le due installazioni alla Guido Costa Projects sono ascrivibili a questa ricerca sul codice nel suo rapporto con la visibilità e il senso. Sono opere appese che occupano un’intera parete (una costruita appositamente) e che nascono in stretto legame con una serie di “documenti”. La prima, nasce come rappresentazione del tutto arbitraria della selezione annuale, altrettanto arbitraria e tendenziosa, compiuta dall’organizzazione statunitense The Fund for Peace (in parte finanziata privatamente) per indicare gli stati che “falliscono” economicamente. Si tratta di 20 bandiere assemblate insieme senza un particolare criterio selettivo che Friedl ha voluto far realizzare da detenute ed ex-detenute del carcere di Le Vallette di Torino (coordinate dalla cooperativa Papily). L’oggetto prodotto è dunque un pungente paradosso di termini: ineccepibile nella sua purezza estetica, così come ogni icona deve essere, l’insieme delle bandiere nasce da mani appartenenti a 15 nazionalità diverse (un occhiolino a Boetti?), in gran parte di paesi poveri possibili di esser menzionati tra i Failed States.
La seconda è altrettanto icastica per contenuti: un neon che cita una frase trascritta da Antonio Gramsci nei Quaderni dal carcere, traduzione erronea di un brano tratto dal Magnificence del drammaturgo John Skelton. “Io posso trovare fantasie dove non c’è nessuno”, scrisse Gramsci nei suoi Quaderni, quando l’originale terminava con “dove non ve ne è alcuna”. L’estetica dell’errore è un altro dei mezzi con cui Friedl mette in guardia lo spettatore sulle tante illusioni (fisiche, psicologiche, emotive) che l’uso del linguaggio (come codice) comporta. Nello specifico, per quel che riguarda il contenuto, è chiaro come questo errore sveli la possibilità che ideologie, condizioni sociali e storiche possano sporcare la coscienza critica e portare all’equivoco anche le menti più lucide. Mentre il mezzo scelto, la scrittura di luce, porta a galla lo scarto tra una “verità” che viene dalle tenebre e la fallacità di cui è invece messaggera.
L’arte in questo senso può smascherare, a tratti infastidendo e a tratti incantando, o forse tutte e due le cose insieme. Ciò su cui l’artista austriaco insiste spesso è che l’arte è libera di usare ogni mezzo per creare un discorso che ci consenta di scrollarci di dosso le immagini mediatiche da cui siamo soffocati. E che ogni problema è enunciabile esteticamente attraverso rappresentazioni da scoprire di volta in volta.
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mostra visitata il 7 luglio
dal 27 maggio al 27 luglio 2011
Magnificence
Guido Costa Projects, via Mazzini 24 – 10123 Torino
dal lunedì al sabato, 15-19;
tel. +39.0118154113; info@guidocostaprojects.com
[exibart]
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