La fotografia di
Margot Quan Knight (Seattle, 1977) trae spunto dal quotidiano, dal quale vengono prelevati dettagli, talora insignificanti, atti a mostrare quanto sia sottile e ambigua la distinzione fra verità e apparenza. Le immagini, rigorose dal punto di vista formale e compositivo, hanno sempre una valenza simbolica e spesso palesano riferimenti autobiografici. Il tema che accomuna i lavori proposti nella mostra
On time, fotografie e video-installazioni, è il tempo, sottratto alla pura dimensione fisico-meccanica, omogenea e lineare, e recuperato nel valore dell’interiorità soggettiva. In essa acquisiscono rilievo gli intervalli, la memoria, lo “scarto”. Quan Knight afferma che esaminare le distorsioni del tempo, le esperienze che lo dilatano o comprimono, non allungherà la sua vita, eppure costituisce un punto di riferimento costante nei suoi pensieri. Il rimando autobiografico è evidente in due dei tre video presentati, nei quali lo spettatore è posto a confronto con una dimensione temporale che si esprime attraverso un fluire di stati e cambiamenti infinitesimi.
Portrait of a woman 1947-2007 ha come protagonista la madre, la cui storia, dall’infanzia a oggi, è tracciata attraverso attimi colti in una sequenza rapidissima.
Window è invece incentrato sull’alternarsi di piani-sequenza dei volti dell’artista, della madre e della nonna, quasi indistinguibili l’uno dall’altro, ed evidenzia il legame tra passato e futuro, mediato dal presente. La finestra è la metafora del passaggio attraverso stati esperienziali di un divenire incessante.
Nel ciclo di fotografie
Intervals sono poste in primo piano la transizione e la momentanea assenza temporale: è come se il tempo venisse parcellizzato e i suoi frammenti fissati nell’attimo, cosicché anche il gesto più insignificante possa assumere una valenza peculiare. Il passare del tempo all’interno della vita matrimoniale ha nella mostra un posto di rilievo: in tal senso risulta emblematico il video
Support, dove una coppia rende visibile il legame profondo che la unisce attraverso un tubo di ossigeno che passa da una persona all’altra, metafora di un’indissolubile simbiosi fisica oltre che mentale.
I lavori che
Daniele D’Acquisto (Taranto, 1978) propone esprimono nel titolo
Waiting for… il senso di sospensione e attesa che caratterizza il mondo contemporaneo, un’interruzione dei gesti consueti, nel tentativo di osservare la realtà con uno spirito non contaminato dall’abitudine. Questa situazione genera l’idea dialettica di un tempo centrifugo, che tende a dilatare la visione oltre la pura rappresentazione.
Il sostrato è identificato da D’Acquisto nel colore bianco, metafora della trasparenza, della luce; una chiarezza che non coinvolge solo la percezione, ma si dilata all’interiorità, mostrando come la visione si esprima su piani interattivi. Ritagli di carta bianca, che compongono figure, persone anonime, di ordinaria quotidianità, si stratificano su tavola, simili a rilievi, che cercano di esprimersi in una dimensione a tutto spazio. Sembrano sospesi in un’assenza di gravità, paiono scrutare nel nulla, alla ricerca dell’indistinto: il bianco appare la manifestazione di una pura essenza incontaminata. In un altro gruppo di lavori, le figure sono realizzate con stratificazioni di plexiglas, con una consistenza indefinibile, cromaticamente tesa fra bianco e grigio, in un gioco indefinito di ombre e luci, che conferisce alle icone una consistenza diafana e rarefatta, fortemente enigmatica.