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È nelle fantasie dell’infernale, da cui è letteralmente ossessionata la sensibilità occidentale, che troviamo la tecnologia del dolore senza significato, della bestialità senza fine, del terrore gratuito”. Con queste parole, George Steiner descrive la barbarie intrisa nelle raffigurazioni dell’arte e delle espressioni del pensiero.
Los desastres de la guerra di
Francisco Goya (Fuendedetodos, 1746 – Bordeaux, 1828) s’inseriscono in questo contesto. Il periodo che va dal 1807 al 1813, con l’invasione della Spagna da parte dell’esercito francese, procura traumi profondi. Goya descrive nei minimi particolari la sofferenza umana, senza soffermarsi sulla mera descrizione storica dei fatti, ma compiendo una profonda indagine sulla drammaticità straziante e angosciosa che si abbatte su un’intera nazione.
Del resto, è difficile contestualizzare temporalmente le sue tavole: su una lastra soltanto compare una data: 1810. D’altra parte, all’artista non interessa porre l’attenzione sugli eventi politici; non è la ribellione di Saragozza del 1808 o la carestia di Madrid del 1810 che intende descrivere, bensì gli orrori della guerra in tutta la loro aberrante realtà.
Alla Biblioteca Universitaria di Torino, ottanta tavole ripercorrono il periodo tra il 1808 e il 1812. Ognuna è corredata da una didascalia ideata appositamente dall’artista spagnolo, che rafforza ulteriormente il senso delle raffigurazioni. Questa peculiarità fa di Goya un abile cronista (in
Yo lo vi è esplicito il riferimento alla sua presenza innanzi ai fatti narrati), che ha saputo descrivere sia ciò che ha visto, sia ciò che ha sentito raccontare. Così, le sue acqueforti anticipano in un certo modo la fotografia documentaria.
La padronanza tecnica e la straordinaria capacità descrittiva emergono in ogni lavoro di questo ciclo, dove le trasparenze, l’uso delle luci e delle ombre, l’incisività del tratto esaltano la drammaticità dei corpi, l’agonia dei volti, la tensione emotiva. Goya alterna stili diversi, dalla maggiore stilizzazione all’estrema accuratezza, come in
Carretadas al cementerio, dove si coglie la nudità del cadavere d’una donna che viene scaricato, insieme ad altri, al camposanto.
In
Esto es peor giace in primo piano il corpo mutilato di un uomo impalato a un albero. Sul volto è scolpita l’espressione del dolore, i capelli scompigliati ne esaltano la tragicità, rendendo percepibile la straziante agonia. Sullo sfondo, i militari napoleonici commettono altre barbarie. Anche in
Grande azaña! Con muertos! i corpi smembrati sono appesi a un albero; su un ramo, la testa infilzata dell’uomo mutilato e, appese, le braccia recise.
Goya descrive anche l’avidità, la cupidigia, la falsità, l’ignoranza e gli aspetti più biechi dell’agire umano, utilizzando lo strumento dell’ironia, come in
Contra el bien general, dove l’uomo è ritratto con ali di pipistrello al posto delle orecchie e ha fattezze mostruose.
In alcune tavole albera il coraggio delle donne, che si riscattano per sopravvivere: in
Qué valor!, una giovane impugna il cannone contro il nemico, appoggiando i piedi nudi sui cadaveri dei compagni morti. Un’immagine emblematica. La donna è di spalle, non s’intravede il volto; soltanto la folta chioma corvina e il corpo femmineo, racchiuso in un abito candido.