Da diversi anni
Botto & Bruno (Gianfranco Botto, Torino, 1963; Roberta
Bruno, Torino, 1966) creano paesaggi artificiali. Studiano la periferia e la
trasferiscono ovunque, rivestendo pareti di gallerie, musei e metropolitane. In
quest’ultima mostra da Peola hanno voluto presentare alcune fasi del loro
modus
operandi,
esibendo il fondamentale passaggio intermedio, il collage manuale prima che
venga virato dalla fotocopiatrice laser e poi stampato su pvc.
I luoghi che approfondiscono, com’è noto, sono quelli in
cui sono cresciuti, in cui hanno maturato una visione singolare di un mondo
considerato ai margini. Possiedono un archivio di diverse centinaia di
fotografie, suddivise per categorie: i cieli, i terreni, le pozzanghere, gli edifici
dismessi e così via, secondo un ordine che si può definire istintivo. Questo è
il materiale che custodiscono e su cui lavorano per l’elaborazione dell’opera.
Un processo accurato e minuzioso, che consiste nella
ricerca di frammenti di luoghi diversi, ritagliati e accostati per ottenere
immagini di ambientazioni che nella realtĂ non esistono, ma che paiono
assolutamente plausibili, possibili scenari di uno squallore meditato, che
perde ogni connotazione negativa per trasformarsi in una riflessione che assume
una dimensione piĂą ampia, quasi aulica.
Questi artisti hanno scelto di non fuggire dalle loro
paure più profonde, di scavare nell’intimo per tirare fuori pezzi di sensazioni
a brandelli, con la stessa lente d’ingrandimento che usano per assemblare i dettagli
di luoghi anonimi che non interessano a nessuno. Luoghi che si preferisce
attraversare per estrema necessitĂ e che loro invece continuano a scandagliare.
Il fine, come dichiarato, non è la denuncia sociale,
semmai la realizzazione di un’utopia: la ricerca di ogni energia positiva che
in questi luoghi confluisce e si nasconde, per aprire un varco a una dimensione
esistenziale, che strappi la patina di grigiore e incuria a un contesto in cui
le persone rifiutano di percepirsi inferiori.
Una critica costruttiva, quella di Botto & Bruno,
densa di contenuti. Cercano di conferire sostanza e significato al materiale
ottenuto fotografando ambienti di cui si è voluto l’appiattimento e l’assenza
d’attenzione per l’individuo.
In quest’analisi emergono in primo piano i ritratti dei
protagonisti della mostra: adolescenti senza volto, senza una reale identitĂ .
Fotogrammi tratti da film in cui la tematica della difficoltĂ nel raggiungere
un equilibrio, in assenza di certezze e prospettive stabili, è per i giovanissimi
una conseguenza inevitabile. Il desiderio del cielo visto come metafora di
libertĂ .
Da non perdere l’allestimento della terza sala, in cui il
video ripreso con telecamera fissa raggiunge vette di autentica poesia
nell’accostamento di una riuscitissima colonna sonora (in cui i versi di Cat
Power vengono interpretati dagli artisti stessi, accompagnati dalla chitarra di
Bartolomeo Migliore) alle immagini dei fanciulli che attraversano lo schermo oltre il
nulla, dove solo un sacchetto di plastica compie la sua danza.
Un’apertura piena di umanità all’interno dei muri
fatiscenti ricostruiti in galleria.