Il lavoro di
Giuseppe Penone (Garessio, Cuneo, 1947; vive a Parigi e Torino) è
sempre fresco. Fresco perché non si fissa mai in forme eterne, ma è in continuo
mutamento. Proprio come i segni che il tempo lascia e deposita sull’epitelio: a
partire dalle mani, anzi
nelle mani,
per ripercorrere il titolo stesso dell’esposizione. La mano è, nelle opere in
mostra da Tucci Russo, elemento centrale per rivisitare il valore cognitivo che
l’artista riconosce all’atto del toccare; azione, volontaria o involontaria,
che porta Penone sin dall’inizio degli anni ‘70 a ideare nuovi modi di dar
forma alla materia.
In un percorso di visita alla rovescia, l’ultima
sala propone la genesi delle sue azioni; opere che sottendono il pensiero e il
concetto anche come movimenti mentali dell’esperienza del contatto, e che
segnano il rapporto profondo tra il corpo e l’esterno. Da
Rovesciare i
propri occhi (1970), in cui
l’artista indossa un paio di lenti specchianti isolandosi dal senso della
vista, alla serie
Svolgere la propria pelle (1970-71), nascono i lavori basati su calchi –
positivi e negativi – per una reinterpretazione concettuale di parti del corpo
umano.
È difatti possibile vedere
Cocci, un’opera del 1982 in cui Penone adatta le mani
intorno a frammenti di un vaso, formando un calco nel quale è poi colato del
gesso. Polvere che, solidificandosi con l’acqua, si lega al coccio. A rivelare
la forza generatrice della materia fluida, come fonte luminosa, è
Geometrie
nelle mani (2004), serie di
immagini stampate in negativo, le cui ombre più intense – quelle nello spazio
vuoto tra le dita – sembrano fondere il biologico con lo storico.
Testimonianze invece dell’energia – tema caro
all’Arte Povera in termini di forza e crescita – sono
Propagazione (1975) e
Proiezione C (2000), entrambe esposte nella terza sala. Mentre
in
Propagazione un disegno
sulla parete amplifica concentricamente le linee dell’impronta di un dito,
nella seconda le trame della cute si sviluppano nello spazio secondo logiche
ottiche, materializzandosi in una fusione di bronzo sostenuta da un intreccio
di rami. L’impiego di materiali tipici del fare artistico, come il bronzo e il
marmo, sembra indicare in Penone la volontà di confrontare, opponendoli, i
processi linguistici della tradizione culturale con quelli morfologici degli
organismi viventi.
A completare la mostra –
sottolineando il rapporto fra il soggetto e l’ambiente che lo circonda – è
Geometrie
nelle mani (2005). Realizzati in
bronzo, giganteschi dettagli di materia impastata, presentati a contatto con
solidi in acciaio inossidabile, prendono possesso dello spazio estendendosi
alle pareti, dove, lucide e specchianti, sono appese le tele
Pelli di
grafite.
Dai processi di crescita
all’intrinseca attività dell’essere umano – o meglio, dell’artista – le mani
sono in Penone veri e propri atti; movimenti che avvengono in un tempo definito
o che devono ancora essere innescati. Come la vita.