Ad accogliere il visitatore in galleria sono i lavori di
Ernesto Jannini (Napoli, 1950; vive a Milano), vivace artista “neoconcettuale” che, dalla fine degli anni ’70, porta avanti una ricerca radicata sull’azione a sfondo altamente politico-sociale. E poco importa che le sue teche strizzino gli occhi a
Piero Gilardi o a certe composizioni di armaniana memoria. Perché il loro il fine ultimo è la riflessione sull’oggetto stesso, intrappolato, significato e significante in unica sede. Questo è, per lo meno in parte, il senso delle sue “confezioni” dedicate al cibo, causa di conflitti e tensioni di ogni ordine e grado. Poco importa che il suo “missile” lo accompagni nelle video-riprese realizzate
ad hoc attraverso le strade di Torino, riecheggiando tanto sfacciatamente la guerra fredda, la strategia della tensione dell’altro ieri, suscitando fantasmi che, forse, non sono mai scomparsi dai nostri sogni più cupi. L’ambientazione con la tavola imbandita a festa e il missile sospeso ad altezza umana, come a voler incombere sulle mediocre quotidianità borghese, dà luogo a una duplice emozione. Innanzitutto, lo stupore e lo sconcerto per il pranzo di Natale soffocato dall’incombente presenza della violenza della morte; in secondo luogo, l’emozione di un duplice incontro, con il mondo onirico dell’artista e con il compagno, inatteso, di questa avventurosa esposizione.
Infatti, seguendo la traiettoria simbolica indicata dal micidiale ordigno, s’incontrano gli sguardi intensi dei personaggi ritratti da
Fausto Morviducci (Napoli, 1953). Questa è la prima personale torinese dell’artista, proteso a tradurre in un canto irreale la più rigorosa o analitica realtà di volti, figure, persone che celano un nome e un cognome dietro la gabbia della pittura. Con abilità iperrealista, Morviducci ferma l’immagine e la trasmuta sulla tela. Occhi vividi e speranzosi guardano all’orizzonte, trasmettendo il sogno dell’esistenza di un varco, di una luce, di una speranza, che, sin dalla prima sala, lo spettatore ha ricercato intensamente.
L’artista si presta nuovamente e inconsapevolmente a mostrare la strada, o, perlomeno, ci prova. E noi ne apprezziamo lo sforzo intellettuale e la qualità formale.