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16
marzo 2009
fino al 29.III.2009 Da Avondo a Zorio Settimo (to), La Giardinera
torino
Una panoramica sull’arte piemontese, in tre fasi distinte, a partire dalla fine dell’Ottocento. Uno spaccato in cui ad autorevoli maestri si affiancano artisti meno noti. Per rappresentare un momento storico di reale cambiamento...
Le opere esposte alla Giardinera interessano un periodo che va dal 1880 alla Prima Guerra Mondiale. Nei decenni che precedono quest’arco temporale, il Romanticismo apre la strada e in qualche maniera entra in conflitto con quel versante dell’arte che verrà definito, molto semplicemente, Naturalismo. Che concentra l’attenzione degli artisti verso una visione più scientifica e obiettiva della realtà, evidenziando temi e soggetti del quotidiano che si discostano da una visione idilliaca, prettamente accademica.
Il motto attribuito oltralpe a Daumier – “Bisogna esser del proprio tempo” -evidenzia la necessità di concentrarsi sulle scienze sociali, di rompere l’isolamento dell’artista e il suo individualismo, e riporta all’origine politica del Naturalismo. Non va infatti dimenticato che, in quegli anni, gli avvenimenti storici hanno disatteso le aspettative: sono falliti gli ideali, il popolo si allontana da ogni forma utopica e pretende una corretta visione dei fatti e della realtà.
Anche gli artisti piemontesi ben rappresentano questa svolta, e in mostra è possibile osservare sia dipinti più legati alla tradizione manierata accademica, sia opere che privilegiano il sentire degli animi più aperti alla nuova sensibilità pittorica.
Nello studio del paesaggio questa biforcazione è evidente: in Vittorio Avondo, la pittura è ancora legata alla raffinatezza delle atmosfere del Romanticismo, nonostante la conoscenza dei lavori della Scuola di Barbizon e la frequentazione del cenacolo di Rivara, così come nei grandi e virtuosi dipinti di Ernesto Bertea si rimane ancorati a una pittura nitida e a una lineare classicità cromatica.
Un passaggio incisivo appare invece evidente nella luminosità impressionista della natura di Enrico Reycend e nella scelta dei soggetti e nell’ardita gestualità pittorica di Alessandro Lupo.
Una natura semplice e disponibile, lontana da un ideale inaccessibile, vicina alla vita dei contadini e del proletariato. In questo contesto appare, al secondo piano del museo di Settimo, un cartone con una semplice sagoma familiare: è uno dei contadini del Quarto Stato di Pellizza da Volpedo. Senza dettagli, una tacita ombra che regalerà la vita a uno dei più grandi capolavori di tutti i tempi. In tema di virtuoso divisionismo, nella stessa sala attrae lo sguardo un grande dipinto di Matteo Olivero: quando il paesaggio diventa poesia e la poesia luce spezzata dall’istinto e, infine, sapienza pittorica.
Vanno ancora segnalati, accanto a dipinti tutt’altro che memorabili, alcuni lavori del ritrattista Giacomo Grosso e del maestro Delleani. Per chiudere con alcune note dal sapore liberty che emergono dall’incantato simbolismo di Mario Reviglione, assai moderno anche nei suoi paesaggi.
Il motto attribuito oltralpe a Daumier – “Bisogna esser del proprio tempo” -evidenzia la necessità di concentrarsi sulle scienze sociali, di rompere l’isolamento dell’artista e il suo individualismo, e riporta all’origine politica del Naturalismo. Non va infatti dimenticato che, in quegli anni, gli avvenimenti storici hanno disatteso le aspettative: sono falliti gli ideali, il popolo si allontana da ogni forma utopica e pretende una corretta visione dei fatti e della realtà.
Anche gli artisti piemontesi ben rappresentano questa svolta, e in mostra è possibile osservare sia dipinti più legati alla tradizione manierata accademica, sia opere che privilegiano il sentire degli animi più aperti alla nuova sensibilità pittorica.
Nello studio del paesaggio questa biforcazione è evidente: in Vittorio Avondo, la pittura è ancora legata alla raffinatezza delle atmosfere del Romanticismo, nonostante la conoscenza dei lavori della Scuola di Barbizon e la frequentazione del cenacolo di Rivara, così come nei grandi e virtuosi dipinti di Ernesto Bertea si rimane ancorati a una pittura nitida e a una lineare classicità cromatica.
Un passaggio incisivo appare invece evidente nella luminosità impressionista della natura di Enrico Reycend e nella scelta dei soggetti e nell’ardita gestualità pittorica di Alessandro Lupo.
Una natura semplice e disponibile, lontana da un ideale inaccessibile, vicina alla vita dei contadini e del proletariato. In questo contesto appare, al secondo piano del museo di Settimo, un cartone con una semplice sagoma familiare: è uno dei contadini del Quarto Stato di Pellizza da Volpedo. Senza dettagli, una tacita ombra che regalerà la vita a uno dei più grandi capolavori di tutti i tempi. In tema di virtuoso divisionismo, nella stessa sala attrae lo sguardo un grande dipinto di Matteo Olivero: quando il paesaggio diventa poesia e la poesia luce spezzata dall’istinto e, infine, sapienza pittorica.
Vanno ancora segnalati, accanto a dipinti tutt’altro che memorabili, alcuni lavori del ritrattista Giacomo Grosso e del maestro Delleani. Per chiudere con alcune note dal sapore liberty che emergono dall’incantato simbolismo di Mario Reviglione, assai moderno anche nei suoi paesaggi.
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a cura di Angelo Mistrangelo, Francesco Poli e Gianfranco Schialvino
Casa per l’Arte La Giardinera
Via Italia, 90b – 10036 Settimo Torinese (TO)
Orario: da martedì a domenica ore 11-19
Ingresso: intero € 4; ridotto € 2
Info: tel. +39 0118028207; info@lagiardinera-arte.it; www.fondazione-ecm.it
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