Le opere esposte alla Giardinera interessano un periodo che va dal 1880 alla Prima Guerra Mondiale. Nei decenni che precedono quest’arco temporale, il Romanticismo apre la strada e in qualche maniera entra in conflitto con quel versante dell’arte che verrà definito, molto semplicemente, Naturalismo. Che concentra l’attenzione degli artisti verso una visione più scientifica e obiettiva della realtà, evidenziando temi e soggetti del quotidiano che si discostano da una visione idilliaca, prettamente accademica.
Il motto attribuito oltralpe a
Daumier – “
Bisogna esser del proprio tempo” -evidenzia la necessità di concentrarsi sulle scienze sociali, di rompere l’isolamento dell’artista e il suo individualismo, e riporta all’origine politica del Naturalismo. Non va infatti dimenticato che, in quegli anni, gli avvenimenti storici hanno disatteso le aspettative: sono falliti gli ideali, il popolo si allontana da ogni forma utopica e pretende una corretta visione dei fatti e della realtà.
Anche gli artisti piemontesi ben rappresentano questa svolta, e in mostra è possibile osservare sia dipinti più legati alla tradizione manierata accademica, sia opere che privilegiano il sentire degli animi più aperti alla nuova sensibilità pittorica.
Nello studio del paesaggio questa biforcazione è evidente: in
Vittorio Avondo, la pittura è ancora legata alla raffinatezza delle atmosfere del Romanticismo, nonostante la conoscenza dei lavori della Scuola di Barbizon e la frequentazione del cenacolo di Rivara, così come nei grandi e virtuosi dipinti di
Ernesto Bertea si rimane ancorati a una pittura nitida e a una lineare classicità cromatica.
Un passaggio incisivo appare invece evidente nella luminosità impressionista della natura di
Enrico Reycend e nella scelta dei soggetti e nell’ardita gestualità pittorica di
Alessandro Lupo.
Una natura semplice e disponibile, lontana da un ideale inaccessibile, vicina alla vita dei contadini e del proletariato. In questo contesto appare, al secondo piano del museo di Settimo, un cartone con una semplice sagoma familiare: è uno dei contadini del
Quarto Stato di
Pellizza da Volpedo. Senza dettagli, una tacita ombra che regalerà la vita a uno dei più grandi capolavori di tutti i tempi. In tema di virtuoso divisionismo, nella stessa sala attrae lo sguardo un grande dipinto di
Matteo Olivero: quando il paesaggio diventa poesia e la poesia luce spezzata dall’istinto e, infine, sapienza pittorica.
Vanno ancora segnalati, accanto a dipinti tutt’altro che memorabili, alcuni lavori del ritrattista
Giacomo Grosso e del maestro
Delleani. Per chiudere con alcune note dal sapore liberty che emergono dall’incantato simbolismo di
Mario Reviglione, assai moderno anche nei suoi paesaggi.