Nessuna retorica o ritratto agiografico di partito. E questo nonostante Renato Guttuso continui a incarnare nell’immaginario collettivo la militanza politica per antonomasia, spesso a discapito delle sue indubbie doti di artista. Nemmeno in un dipinto come I funerali di Togliatti (1972), dove sarebbe stato fin troppo facile cadere nella trappola del realismo socialista di stampo sovietico. Didascalico e celebrativo quanto basta a sottomettere l’arte alla Ragion di Stato. Qui, perlopiù, l’ideale si sovrappone all’ideologia, assumendo i toni della poesia. Quella stessa poesia che induce Pier Paolo Pasolini a scrivergli: “Beato te che quando prendi la matita o il pennello in mano, scrivi sempre in versi! Ti trovo fratello proprio in questo. Nella disperata premeditazione di fare sempre poesia, in ogni discorso, magari abbandonandolo a sé, incompiuto, caotico, neonato, là dove potrebbe livellarlo con l’integrità del testo, la prosa.” Solo una delle tante attestazioni di stima che gli derivano dalle numerose frequentazioni con scrittori e intellettuali dell’epoca. Peraltro, ben documentate dalle copertine di molti libri Einaudi, i cui disegni sono messi qui in bell’evidenza da un allestimento vagamente mondrianesco, tale da accentuarne e proseguirne il segno grafico che gli è proprio.
Ma in questa ampia retrospettiva che Palazzo Bricherasio dedica a Renato Guttuso, a diciotto anni dalla sua morte, c’è dell’altro. Ciò che si percepisce dai suoi 80 dipinti in mostra è soprattutto la grandezza e la miseria della vita, ripresa in tutti i suoi molteplici aspetti. Quelli fatti di affetto per la moglie Mimise, tante volte tradita ma da lui considerata mia cultura, mia mente, carne, compagna” (Ritratto di Mimise, 1937; Autoritratto con Mimise, 1966). Di erotismo che si fa carne e sangue nel corpo delle tante donne ritratte, non più oggetti ma soggetti consapevoli delle proprie intime pulsioni (Donna nuda nello studio, 1959; Algerie française, 1961). Di partecipazione morale a certi fatti storici, come le lotte contadine per l’assegnazione della terra (Occupazione delle terre incolte in Sicilia, 1949/50). E di malinconia, quel velo sottile che sembra posarsi sulla sua ultima produzione pittorica donandole una sfumatura visionaria (La visita della sera, 1980; Bucranio, Mandibola di Pescecane e Drappo Nero Contro il Cielo, 1984).
Ciascuna singola opera non trasuda altro che valori morali e impegno civile attraverso un modo di dipingere realista ma non convenzionale. Perché da pittore autodidatta qual è agli inizi della carriera, insofferente all’insegnamento accademico elabora nel corso del tempo un linguaggio personale assimilando gli elementi formali del Picasso anni ‘30. Quello, per intenderci, di Guernica (1937) che, instillando il fenomeno del cosiddetto “picassismo”, fa in Italia da spartiacque tra un prima reazionario, ostile ad ogni forma di avanguardia e un dopo decisamente ricco di vitalità. A cui Guttuso prende entusiasticamente parte, partecipando ai principali movimenti artistici come Corrente (1938) e Fronte Nuovo delle Arti (1947), intenzionati a rinnovare anche moralmente il Paese. Ma dai quali, in seguito, fuoriesce per un motivo che il suo grande amico Natalino Spegno ravvisa nella “ sua costante solitudine, quel suo procedere in ogni tempo contro corrente, tra mille riserve, diffidenze e ostilità, al massimo talora la precaria e ambigua solidarietà di qualche temporaneo compagno di strada, incapace per lo più di reggere a lungo il ritmo del suo passo.”
E la solitudine, accompagnata dallo scandalo, investe anche uno dei suoi più autentici capolavori. Quella Crocifissione (1941) che ha il potere di racchiudere tutto il malessere di un’epoca storica, dominata dalla guerra, in un pezzo di tela. Ma le nudità che sembrano oltraggiare la scena religiosa, un’impostazione anticlassica e i segni inequivocabili della sua appartenenza politica la condannano impietosamente. Vale su tutti il conforto del suo “maestro di moralità artistica e civile” Carlo Levi: “E tanto meglio se la tua pittura non piace ai vescovi”. Che siano quelli delle gerarchie ecclesiastiche o della critica più retriva.
claudia giraud
mostra visitata il 17 febbraio 2005
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