Oltrepassa l’Art Brut di
Dubuffet e le vittime devastate di
Fautrier. In contrapposizione alla razionalità delle equilibrate geometrie di
Mondrian e al Realismo socialista avverso alla libera sperimentazione, per approdare a un’espressività travolgente, impetuosa, infiammabile, scevra da obblighi e classicismi. Il gruppo
Cobra si forma nel 1948 per iniziativa di pochi illustri ma, nel giro di breve tempo, arruola una cinquantina di creativi fra teorici, pittori, architetti, poeti. Si scioglie dopo soli tre anni, nel ‘51, al termine della
II Esposizione Internazionale d’Arte Sperimentale di Liegi. Le opere presenti in mostra a Torino sono tutte appartenenti a periodi successivi alla scissione della compagine, ma riportano indiscutibilmente agli ideali del suo esordio.
Le ragioni comuni ai vari artisti consistono nella ricerca della massima emancipazione raggiungibile e in una pulsionale ribellione a ogni sorta di dogmatismo e gerarchia, traducendosi in un gesto compositivo assai dinamico, originato dall’imperante desiderio di ricongiungimento con il lascito della cultura primitiva nordica, con un tipo di pittura immediata, di estrazione popolare. La sorprendente assenza di vincoli dei Cobra si riflette anche mediante la variegata dislocazione dei suoi rappresentanti. Non a caso, il nome scelto dal segretario del gruppo
Dotremont è un acronimo formato dalle iniziali delle tre città da cui provengono i maggiori esponenti: Copenaghen, Bruxelles e Amsterdam.
Da pennellate energiche e da grumi rappresi di materia prima, talvolta applicata direttamente dal tubetto, nascono alchimie notturne e assemblaggi caotici. Animali fantastici, vagheggiamenti cosmici, riferimenti mitologici. Il colore, in quanto sostanza atta al componimento, sarebbe oggi paragonabile a una cellula staminale in fermento, a un germe che attecchisce e genera nuova vita.
La figura umana è rappresentata con grande continuità, paradossalmente tramite seduzioni quasi impalpabili e fantasmatiche (
Alechinsky,
Tristesse limpide, 1961) o – per contro – aggressive manifestazioni segniche come quelle di
Corneille, convulse, elementari e stilizzate (
Petit personnage d’été, 1955).
Per mano di
Karel Appel, da striature e digressioni dense e al contempo di notevole fluidità emergono creature dalle fattezze irriconoscibili, dalle proporzioni stravolte, in cui le anatomie sembrano plasmate da forze esterne e soggiogate da metamorfosi inarrestabili. Un paio d’occhi enigmatici affiora talora da ombrosi turbinii (
Personnage, 1959), in contrapposizione a un volto scimmiesco di picassiana memoria (
Oiseau, s.d.). Nei lavori di
Constant, schizzi, macchie e colature – in virtù del vigore dei contrasti cromatici – riportano a improvvise detonazioni o a onirici paesaggi nostalgici.
Unico contributo all’opera di
Pinot Gallizio, che editerà ad Alba la rivista “Eristica” con
Asger Jorn in qualità di redattore, è una tecnica mista del 1956 su tela di juta, realizzata con aniline, olio e sabbia.