La tortura ha origini antiche, e si ripete attraverso le epoche e il tempo. L’immagine fotografica che ritrae i soprusi ha il potere di restituire all’osservatore crudezza e nudità dell’evento. Allo stesso modo trasporta un mondo, lo rinchiude, lo rende immortale, ma ne restituisce il contesto temporale.
La pittura di
Paolo Maggis (Milano, 1978; vive a Berlino e Barcellona), al contrario, ha la capacità di rendere la sofferenza atemporale e di riconsegnarcela solo in parvenza in maniera meno tragica della fotografia. Perché se ci si sofferma sulle pennellate, sulla tensione dei volti ritratti, sui particolari dei corpi martoriati, ci si accorge che il dipinto pone un interrogativo, chiama a una riflessione su se stessi, sulla propria coscienza.
I soggetti raffigurati, pur essendo tratti da immagini reali, non svelano totalmente il contesto, perché non è importante sapere se l’azione costrittiva è accaduta in Cile, in Argentina, in Iraq, in un’epoca trascorsa o presente. Ma sottende la capacità dell’uomo di commettere la barbarie e, al contempo, dischiude la costrizione individuale, svelandone le sfaccettature. Come lo stesso Maggis sottolinea, “
la prigionia esterna non fa che richiamare quella interiore”.
La società può esercitare un’oppressione. La tortura, in questo senso, descrive la quotidianità, diviene denuncia e sollecita la necessità di riscattarsi. Solo in apparenza
Crucifixion riconduce a una raffigurazione iconografica, poiché l’intento è evidenziare in primis la crudeltà della tortura stessa.
In
Red mantle, il drappo copre un corpo di cui s’intravedono soltanto le mani, ritratte nella loro disarmante agonia. Il rosso del mantello, con le sue pieghe striate di bianco, riconduce alla corposità tattile della carne. In
Feet, i piedi legati carpiscono lo spazio, pur non essendo al centro della composizione. Anche in questo caso, i colori riescono a restituire appieno la tumefazione degli arti.
Tourtured è una figura nuda, sospesa con i polsi legati, da cui emerge, oltre al movimento, un’incisività analoga alla tensione che pervade le opere di
Egon Schiele.
Nella personale di Baden-Baden, intitolata
Tohuwabohu, comparivano elementi mistici ed escatologici, e le immagini riconducevano a raffigurazioni mitologiche. Con questa mostra,
In nodum coacti, l’artista milanese indaga invence l’oppressione dell’umano. George Steiner sostiene che, dopo i drammi del Novecento, l’uomo non è più in grado di smettere di torturare.
Inevitabilmente, il linguaggio e l’arte subiscono un impoverimento e riflettono l’epoca della barbarie. L’arte di Maggis non si piega a essere simulacro e specchio della contemporaneità; al contrario, rende evidenti le ombre dell’umanità.
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Sai che novità. Maggis ha scoperto il bondage, avrà dato un'occhiata a qualche giornaletto specializzato e si sarà fatto fare il bignamino in quel di Berlino. Roba vecchia anche per me che non son nessuno.
Infatti caro Koshka non ci sono immagini di Bondage... Non sarai nessuno (ho le mie riserve in merito) ma anche in questo caso ti farebbe bene capire cosa succede nel mondo.