Sono undici le sale di Palazzo Cavour che ospitano la collezione di Antonio Calderara. Undici sale che riassumono parte di una delle più importanti collezioni private di arte astratta.Uno stretto e lungo corridoio, conduce all’interno della mostra. Un breve tratto che si percorre lentamente ed intensamente perché ricco di immagini dell’artista con e senza Carmela, sua musa e compagna di vita. Un omaggio di amici che attraverso l’obiettivo, hanno immortalato le mani di Calderara, il suo sorriso, il suo pensiero, azzardiamo. Foto che ci presentano la persona prima dell’artista.
La prima e la seconda sala sono dedicate interamente alle sue opere. Si parte con alcuni esempi fondamentali dei primi venticinque anni “figurativi”, dove domina La finestra e il libro. Qui “alla nettezza metafisica del disegno e dei piani cromatici si abbina la decantazione della luce diffusa”, specie nel panorama del Lago d’Orta, rappresentato con toni pallidi e sfumati protagonisti ne La famiglia – Dopo il temporale.
Il colore insieme alla luce sono i veri protagonisti dei dipinti ma bisogna aspettare la fine degli anni cinquanta e l’inizio degli anni sessanta per vedere la sensibile trasformazione del gesto pittorico. Ne sono esempi emblematici L’isola di San Giulio del 1954, Spazio Luce, 1960 e parallelamente le tre variazioni di Pittura 1960 – 1961, dove la tecnica dell’acquerello cede il passo all’olio e il colore si fa musica.
Dice Calderara nell’interessante video-documentario realizzato dalla Regione Piemonte per la regia di Beppe Calopresti: “ (…) il colore basta ad esprimere tutto; è determinante nell’opera come il suono nella musica”.
Il dipinto così come la scultura sono espressione dell’animo del suo autore; l’arte è “un dono dell’uomo all’uomo” e per questo benché ci siano prodotte anche cose brutte, esse devono essere considerate come il tentativo di un individuo di comunicare con gli altri.
Lui esprime se stesso con riferimento alla sua vecchia tecnica; ciò nondimeno invita i giovani amici a sperimentare, ad osare.
Ed è quindi una collezione di esperimenti, di tentativi, di provocazioni e di arte allo stato puro quella di Calderara. Una collezione che “riflette una realtà spirituale che si concreta nel suo identificarsi con l’infinito, con l’idea che ciascuno di noi ha dell’infinito”, creata attraverso scambi con gli amici artisti, a volte anche con delle esplicite richieste: “Oso dire ad un artista con il quale faccio un cambio: fammi un quadro così!”.
La casa di Vacciago sulla sponda orientale del Lago d’Orta negli anni si è, quindi, trasforma in una casa-museo dall’atmosfera suggestiva ed irreale come il paesaggio che la circonda. La stessa aria languida e distaccata è stata ricreata in mostra dal sapiente allestimento che propone 150 opere (tele e sculture) delle 327 che compongono la collezione, affianco di arredi settecenteschi, appartenuti allo stesso artista.
In mostra troviamo le suggestive opere del venezuelano Jesus Raphel Soto interessante rappresentante delle nuove tecnologie dell’optical art, i giochi di luce di Getulio Alviani, le istigatrici Merde d’Artiste di Piero Manzoni e poi ancora, opere di Osvaldo Licini, Lucio Fontana, Sonia Delaunay Terk, Mario Radice, Arnaldo Pomodoro.
Il catalogo edito da Skira è corredato da un testo del curatore della mostra Marco Rosci, dall’autobiografia dell’artista e da contributi di Luciano Caramel e Giulio Bedoni.
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E la musica? I suoni che magicamente ci accompagnano tra le opere di Soto, Lohse, Dekkers, Surbone, Alviani?...come suonano quei suoni di Zaffiri credo...
E poi il Manzoni della merda...il salto o capriola concettuale che l'arte azzera e poi rip-arte, il vero enigma della mostra..il vuoto spinto di Piero che con il Quattrocento più nulla c'entra...
W Calderara e chi lo scoprì...Heckmans Friedrich Wilhelm...da Diusseldorf