Quella di Tobia Ravà è una pittura che si nutre di numerosi stimoli religiosi, filosofici e scientifici. Realizzata con una tecnica quasi divisionista, l’immagine viene composta attraverso sequenze numeriche e alfabetiche, considerate dall’esoterismo giudaico il fondamento spirituale dell’intero universo. Un’antichissima tradizione esegetica del testo biblico è infatti basata sulla convinzione che la lingua ebraica contenga in sé la chiave del Creato. Le lettere di questo alfabeto sacro vengono concepite, sia nella loro forma che nel loro suono, come i semi di tutte le cose.
Nelle opere di Ravà, numeri e caratteri ebraici si cristallizzano sulla tavola o sulla tela, disegnando foreste e interni di fabbriche dismesse, templi, calle e campielli di quella Venezia nella quale l’artista vive e lavora. Si tratta di luoghi sempre pervasi da un’atmosfera sospesa, metafisica, per l’irraggiarsi della luce in spazi deserti, totalmente privi della figura umana. Troviamo anche una rappresentazione della Mole Antonelliana, edificio-simbolo torinese che spesso ha accolto sulla sua superficie un’altra serie numerica -realizzata con il neon da Mario Merz– quella del matematico medievale Fibonacci. Un omaggio all’artista recentemente scomparso, ma anche un riferimento a quella che doveva essere l’iniziale destinazione d’uso della Mole: la sinagoga.
In alcuni lavori l’intreccio di numeri e lettere sembra aprire un vortice verso l’infinito, risucchiando lo sguardo dello spettatore attraverso spirali che ricordano le vertiginose costruzioni di Escher.
D’altra parte l’estendersi della pittura sulla cornice porta all’annullamento della prospettiva albertiana –presente, ma come pura apparenza- e sottrae all’occhio la percezione di un centro. E’ come se Ravà volesse esprimere l’infinito abisso della divinità (l’En-sof, il senza fine appunto) e quasi il trasbordare della sua presenza dallo spazio pittorico in cui è stata aniconicamente evocata. Osservati da vicino i suoi dipinti perdono quasi del tutto la loro capacità figurativa presentandosi come puro testo, ermetico, “criptato” attraverso la sostituzione delle lettere con i numeri, secondo la tecnica cabbalistica della gimatreya.
L’ambivalenza di questi lavori consiste proprio nel doppio livello di lettura cui si prestano. Fin dal primo sguardo lo spettatore li percepisce come “elementi di calcolo trascendentale” –così come recita il titolo della mostra– eppure non è necessario saper decifrare gli articolati rimandi numerologici per restare affascinati dalla bellezza della componente figurativa.
Sono presenti in mostra inoltre alcune sculture, anch’esse ricoperte di numeri e lettere ebraiche: un gufo, un rinoceronte, una tartaruga, una rana. Insieme ai simboli tradizionali della mistica ebraica, quali il vaso (tiqqun) –immagine ricorrente negli insegnamenti di Ishaq Luria, il più grande mistico ebreo del Cinquecento- e l’albero della vita, rappresentato capovolto per significare la discesa intramondana della luce divina.
luca vona
mostra vista il 10 maggio 2005
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Ringrazio per il bell'articolo sulla mia mostra a Torino. Il 9 giugno inauguro una mostra a due con l'artista algerino Abdallah Khaled a Tobia Ravà e Habdallah Khaled a Venezia presso la Galleria L'Occhio.
Cordiali saluti. Tobia