Tegamini e lumi tondi tra i dettagli che più ricorrono. Ma anche modellini d’automobili, farfalle, libri, scacchiere. Perfino due piccoli ciondoli a forma di cuore pendenti dai capezzoli di una modella flessuosa. Oggetti talvolta spiritosi, che spesso appaiono nei posti più impensati.
Permeata da un non so ché di fanciullesco, la dimensione pittorica di Corrado Porchietti (Savigliano, 1950), diplomato all’Accademia Albertina nel ’73 e allievo di Piero Martina, è popolata da cose comuni, semplici. Reperti-icona della quotidianità che sulla tela assumono un valore fortemente simbolico, a “sottolineare come i confini tra realtà e finzione siano labili e non semplici da cogliere” (Antonella Martina).
Nell’opera di Porchietti l’influsso della produzione degli esordi rimane facilmente
Fondate su un mix alchemico di sogno, mistero, gioco e cartone animato, le opere attuali sono realizzate dall’artista, in prevalenza, su supporti di formato 120 x 110. In mostra, l’unica eccezione è costituita da L’equilibrista, di cm 60 x 50, che riporta inevitabilmente a Circus (istantaneo il parallelo tra il funambolo che regge l’ombrello nel primo, e gli artisti che sorreggono i piatti roteanti nel secondo!), tela in cui appare palese come un’arena circense possa trasformarsi in un palcoscenico atto ad inscenare
Protagonisti gli oggetti, si è detto, ma anche le persone. Circondate da scenari mutevoli, via via diversi seppur legati da strette corrispondenze cromatiche, stilistiche, iconografiche. La figura femminile è ritratta frequentemente, ora musa ispiratrice languida e sognante (Alice, 2001), ora dispensatrice di vita come in L’attesa (2003), in cui a primeggiare è l’accogliente rotondità dei seni e del ventre gravido della donna, o in Maternità (2003-2004), tra tutte l’opera più recente. Qui, sebbene sorridente, l’angolosa protagonista tradisce tutta la staticità di una statua di pietra. Un essere fiero e distante, si direbbe, dallo sguardo fermo poggiato su altrove.
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