Chi ama esclusivamente la materia, lo spessore pittorico che manifesta la vita per ciò che è, apprezzerà solo in secondo momento la raffinatezza pulita delle opere su carta e tela di
Charles-Edouard Jeanneret, al secolo
Le Corbusier (La Chaux-de-Fonds, 1887 – Roquebrune, 1965). “
Il fondo della mia ricerca e della mia produzione intellettuale ha il suo segreto nella pratica ininterrotta della pittura”, scriveva Corbu. “
Disegni, quadri, sculture, libri, case e progetti non sono che una sola e identica manifestazione creatrice rivolta a diverse forme di fenomeni”. Puntuale nell’esprimere l’essenza di se stesso, Le Corbusier sintetizza così l’attrazione per la vita e la necessità di sentirla, toccarla nell’unità indistinta dell’atto creativo, prima che attraverso la comprensione intellettuale.
Eppure, in questa piccola e preziosa mostra, il purismo innato di quest’architetto-artista a 360 gradi (nel senso rinascimentale del termine, precisa il curatore Bonito Oliva) permane a ordinare anche le manifestazioni più espressioniste, sensuali e giocose della sua pittura.
C’è ovunque un ordine meraviglioso, un’eleganza compositiva ricercata ed essenziale che scandisce gli accostamenti di colori e forme, la scelta dei materiali e la direzionalità dei tocchi pittorici. È vero che nei temi più leggeri (come la rappresentazione dell’ambiente dei “Music Hall” che tanto piaceva all’artista, o nei ritratti femminili, espressione dell’amore forte e sincero che portò alle sue donne, alla donna in genere) una momentanea spensieratezza rompe l’equilibrio più posato delle nature morte o delle composizioni paesaggistiche.
Ma ogni disequilibrio è sapientemente inserito in un insieme di contrappesi coloristici e formali che regalano ordine e non caos all’opera finita. Più specificamente, ciò che struttura l’espressione pittorica di Le Corbusier sembra risiedere in una necessità congenita di dare forma. “
Nella forma”, scrive Giuseppe di Napoli ne
Il colore dipinto “
l’occhio è indotto a vedere le cose che essa delimita; si tratta di una visione prevalentemente cognitiva, mentre nel colore è come se l’occhio del pittore vedesse non solo e non per forza le proprietà ottico-materiche delle cose, ma essenzialmente le proprietà e gli aspetti, gli stati, le condizioni, gli umori interni più psichici che fisici”. Ecco, Le Corbusier intuisce, sente, vive, e poi nel fare, malgrado questa prima fortissima esperienza fenomenologica, dà forma, struttura, accorda arieggiando lo spazio pittorico, svuotando i volumi attraverso voli sinuosi di grafie lineari o grattages a tratteggio.
Nelle nature morte del periodo del Purismo più ortodosso (per esempio
Au siphon, 1921) ci sono forme e tonalità che ricordano i giochi in legno con cui comporre figure stilizzate: quei giochi che piacciono più ai grandi che ai bambini. È un piacere intellettuale quello che si percepisce nelle opere pittoriche di Le Corbusier, benché nasca da un sentire sincero, “fanciullesco”.
Perciò, l’ultima sezione della mostra, dedicata alle litografie rappresenta l’espressione più “naturale” e compiuta dei lavori visivi dell’architetto. I limiti del processo a stampa si trasformano in stimolo visionario, in segni significanti, quasi autonomi, come nella bella affiche
La main ouverte.