La macchina fotografica è per
Fabio Paleari (Milano, 1963) il medium attraverso il quale è possibile esplorare realisticamente le pieghe più riposte dell’esistenza, senza indulgere ad alcun preziosismo. L’identificazione tra lui e l’obiettivo è assoluta: lo si constata seguendo il suo percorso di ricerca, sin dall’inizio. Artista nomadico, incarna la figura del “viandante” contemporaneo che cerca un pre-testo, il contatto con situazioni e persone, così da raccogliere frammenti che prendono vita attraverso lo scatto.
Le immagini sono il risultato di una percezione della realtà scevra di indulgenza, che non scende a compromessi con cifre stilistiche ricercate. Mai come nel caso del suo lavoro si può parlare di totale identità fra arte e vita. Paleari s’immerge nel fluire esistenziale e vi attinge a piene mani, costruendo storie fatte di dettagli minimi, distillando gli umori, consegnando volti e luoghi con una narrazione secca e precisa, nitida e assoluta.
Il bianco e nero esalta l’impianto realistico. La costruzione dell’insieme approda a libri, una sorta di diario intimo, al quale è affidato il senso di una vita la cui chiave di lettura è una lucida precarietà. Quando Paleari monta il film che ricostruisce il “reading” milanese di Allen Ginsberg, l’ultimo pochi mesi prima della morte, o costruisce un progetto di mostra intorno alla Famiglia Leu, una tra le più famose famiglie di tatuatori, non fa che mostrarci la vita nelle sue manifestazioni più autentiche.
La stessa chiave d’interpretazione si adatta alla mostra
I won’t give up. Un’affermazione di volontà di vivere e, dunque, di esperire, lottare, soffrire, sognare, collocarsi dentro l’esistente. Il luogo è l’East End londinese, dal 2004 al 2006. Paleari fissa nelle immagini la controversa e tormentata storia sentimentale fra Kate Moss e Pete Doherty, le esperienze dei quali ha condiviso per due anni. Ma la storia privata s’intreccia e si salda strettamente a quella della città. I due personaggi, colti in diverse situazioni, nell’intimità, nell’andirivieni di una vicenda carica di emozioni ed eccessi, resa talora artificiosa dalla spinta mediatica fino alla fine “annunciata”, sono collocati nel contesto della vita metropolitana, di un quartiere alle prese con mille situazioni quotidiane.
Le fotografie, per lo più composte l’una accanto all’altra, in alcuni casi a costruire una croce, metafora dei travagli esistenziali, consegnano allo spettatore un microcosmo denso, nel quale si catturano i più diversi stati di esperienza, nel segno di una capacità di osservazione asciutta e penetrante, ma allo stesso tempo emozionata di fronte alle contraddizioni ineluttabili che segnano l’esistenza.
I won’t give up è anche il titolo del libro edito da Damiani, che contiene le immagini e un testo di Robert Montgomery.