Thorsten Kirchhoff (Copenhagen, 1960; vive a Roma) è fortemente suggestionato da quel cinema che propone le inquietudini ossessive generate dalla banalità, dal caso, che rende l’individuo estraneo al contesto e incapace di sottrarsi all’ambiguità. Tutto ciò che genera vertigine, che provoca un fastidioso senso di spiazzamento, che appare paradossale perché inspiegabile, segna un’esistenza tesa a chiudersi intorno all’individuo, senza lasciargli via di scampo. Una grottesca potenza rende spesso le situazioni incoerenti: l’uomo si trova a dover “masticare” l’assurdo in ogni sua forma e manifestazione, per dirla con Friedrich Dürrenmatt.
Anche nella mostra
Ipnoinducente i riferimenti e le citazioni cinematografiche sono manifesti, ma profondamente modificati nella loro funzione denotativa. Il titolo allude con ironia a una forma d’ipnosi collettiva, un fenomeno generato dalla ridondanza della comunicazione massmediale sfrenata, dall’assillo dei messaggi.
Su uno skateboard appeso alla parete sono impressi i volti di Jean-Paul Sartre e di Simone de Beauvoir dentro il
Paranoid Park di
Gus Van Sant. È questo il lavoro che accoglie lo spettatore,
Team SK8, ponendolo di fronte a una situazione sorprendente, che palesa l’impossibilità di dare un senso. Kirchhoff sembra suggerire che quanto più cerchiamo un significato, tanto più rimaniamo estenuati dall’inattuabilità.
Allo stesso modo appare singolare la citazione di
Shining che trapela dal bancone da bar di
Glassare nights: lo specchio lascia affiorare solo frammenti. Qualsiasi sforzo per rispecchiarsi si rivela inane, poiché l’identità del soggetto è andata in pezzi. La tela che reca lo stesso titolo della mostra presenta due figure acefale che tentano di relazionarsi: una di esse tiene in mano una cornetta telefonica estroflessa, quasi la comunicazione volesse uscire e invadere lo spazio, metafora del debordare dell’informazione.
Alla stessa maniera risultano fuorvianti gli altri dipinti. È sterile il tentativo dell’uomo che spinge un carrello dalla ruota estroflessa: come in un film dell’orrore, vengono inquadrati soltanto i piedi e le ruote, così che l’insieme risulta particolarmente inquietante. L’automobilista che sa osservare la realtà, peraltro nebulosa, solo attraverso lo specchietto retrovisore, e la donna sul volto della quale una chiave tenta di aprire un’ipotetica porta sono emblemi di una situazione esistenziale manipolata, tragicomica.
Lo spettatore entra in un mondo nel quale non esistono meccanismi rassicuranti né consolatori. Solo un misto di delirante implosività.
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Per me Thorsten è uno dei dieci migliori artisti in circolazione in Italia. In assoluto. Spero davvero di riuscire a vedere questa mostra.
bellissima...l'ho vista ieri...è bravissimo!