Il disegno. Un concetto che spesso si sottovaluta, archiviandolo sotto la voce “progetto”. Ma che in realtà è molto più. In grado, com’è, di sopravvivere in piena autonomia, senza quel senso di inadeguatezza che sopraggiunge quando lo si realizza pensando ad un dopo. E lo si vincola in funzione di un qualcos’altro che inevitabilmente ne getta sopra un’ombra di oblìo. Oggi il disegno, memore di una lunga tradizione, torna ad essere protagonista e dimostra tutta la sua attualità nella mostra in progress Altri fantasmi, che segue di un anno Questi fantasmi, tenutasi alla Galleria 1000eventi di Milano.
Una mostra in divenire, perché ogni volta diversa e ricca di nuovi stimoli –e artisti– nell’ambito della grafica contemporanea. E itinerante, perché si propone di coinvolgere tante città italiane quante le possibili varianti offerte dal disegno. Che prevede, inoltre, di allestire un sito internet dove convogliare e rendere accessibili tutte le opere via via realizzate ed esposte.
A Torino le gallerie ospitanti sono ben tre a contendersi i frutti di tale progetto, ideato e avviato da Massimo Kaufmann (Milano, 1963). Che, tra l’azione fisica del disegnare e quella meno diretta della battitura a macchina, preferisce proprio quest’ultima. Come a ribadire l’importanza di una certa artigianalità di fondo, unita a un gusto tutto contemporaneo per la sperimentazione. Così, sotto le forme di un neopuntinismo tipografico, riproduce i soggetti di antiche incisioni per trasformarli in “disegni da leggere”, comodamente in piedi sotto le volte imbiancate della storica Galleria In Arco. Complice nel ricreare le atmosfere noir tanto care all’estro creativo di Andrea Mastrovito (Bergamo, 1978).
Perché proprio l’interazione di ambiente –su cui intervenire manualmente–, carta pazientemente ritagliata e ombra è all’origine dei suoi dettagliatissimi teatrini in bianco e nero. In realtà più simili ai fotogrammi di una pellicola gotica che al teatro puro e semplice. Appannaggio, invece, delle tavole disegnate di Pierluigi Pusole (Torino, 1963). Dove un bianco accecante e metafisico è la base su cui tracciare i contorni di una trappola invisibile e claustrofobica. Una pratica che sembra condividere anche Barbara De Ponti (Magenta, Mi, 1975), quando da Ermanno Tedeschi Gallery innalza le sue architetture fantasma. Che, derivate da sommesse piegature confezionate con cura certosina sulla carta da spolvero, a partire da ingegneristici segni ad acrilico, ne tramutano l’intento progettistico in opera compiuta. Compiuta come la moderna “pala d’altare” di Nicola Verlato (Verona, 1965). Dove l’eco della duchampiana Sposa messa a nudo dai suoi Scapoli, anche acquista nuova forza dalla sua potenza visionaria, che pur irrompe da un segno accademico. Per giungere, infine, da Gas Art Gallery a “vedere”, o almeno, tentare di distinguere dei corpi lacerati nelle carte graffiate di Maria Grazia Necardo (Vercelli, 1979). Corpi di donna che nascono dalla sottrazione. Che, bianchi sul fondo bianco, fluttuano come fantasmi e –secondo Laura Carcano, curatrice della mostra insieme a Norma Mangione– “come spettri che faticano a restare in questo mondo”.
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