Nunzio (Cagnano Amiterno, L’Aquila, 1954) ritorna nella Galleria Persano dopo la personale del febbraio 2004, stavolta non da solo ma in compagnia di Avery Preesman (Santa Maria, Curacao, 1968), con il quale divide il rinnovato spazio nell’ex autorimessa in via Principessa Clotilde. Gli storici locali di piazza Vittorio ospitano invece la mostra di Rob Birza (Geldrop, Amsterdam, 1962), tutta dedicata al trattamento pittorico della guerra contemporanea. Una mostra che, sotto il titolo emblematico di Afghanistan, intende puntare ancora una volta il riflettore sui conflitti in Iraq, Palestina e Afghanistan che -al pari di tanti altri- continuano ad insanguinare il mondo. Ma questi, al contrario di quei tanti altri, ricevono una costante attenzione da parte dei mass media e una conseguente risonanza a livello di opinione pubblica. Tale da provocare un’assuefazione al limite del rigetto psicologico. Birza, riducendo la fotografia tipica del reportage giornalistico in un dipinto da “cavalletto” –non certo per le dimensioni che sono notevoli quanto per la sensazione da pittura ottocentesca– ne smorza i messaggi di violenza. E così ottiene l’effetto di addomesticare la tragedia, di calarla in un contesto di normalità, di renderla accettabile, nel nome della ricercatezza estetica. Un effetto acuito dalla cornice che, parte integrante del quadro, vuole ribadire il senso di forte decorativismo già percepito sulla tela.
Nel secondo spazio di Persano si colloca la doppia costruzione in legno di Nunzio, proponendo anche un accostamento tra le sue consuete combustioni su legno e una fitta sciabolata di segni a carboncino su carta. Che, quando non ne costituiscono il progetto, ne diventano il naturale proseguimento.
Come se la forza utilizzata per piegare la materia ai propri desideri necessitasse ancora di qualche istante per esaurirsi infine in una traccia di nero fuligginoso. Le pareti sono invece dominate dalle “pitture a muro” di Avery Preesman che disegnano un articolato alfabeto, tutto da decifrare. Per poi scoprire, avvicinandosi, un susseguirsi di linee e motivi a T sempre più simile all’impronta lasciata da un pneumatico su uno strato pittorico a pigmenti metallici. Il tutto reso ancora più evidente dalla loro trasposizione scultorea, composta da figure aggettanti in calcestruzzo su telai in acciaio. Nel tentativo di uscire dalla loro dimensione grafica e impadronirsi così dello spazio circostante.
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claudia giraud
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