La vicenda di Abdone Croff (1893-1946), pur meno
appariscente e nota di altre avventure collezionistiche dei primi decenni del
Novecento (come quella di Riccardo Gualino), racconta una pagina non
trascurabile di mecenatismo e amore per l’arte nella Milano del Ventennio.
Mercante di stoffe e tappeti, Croff rivela un gusto eclettico ma raffinato, che
lo porta a inseguire le tavole gotiche e rinascimentali o le tele barocche,
senza trascurare i paesaggi o i ritratti dell’Ottocento, arrivando a instaurare
rapporti personali e proficui con artisti suoi contemporanei.
I molteplici interessi di Croff emergono dalla selezione
di opere presentate alla Fondazione Accorsi, prezioso assaggio della
collezione, in attesa di essere collocata al Museo Civico Garda di Ivrea, al
quale è pervenuta nel 2003 in dono da Lucia Guelpa, sorella della moglie di
Abdone e sua erede dopo l’improvvisa morte della coppia (e del loro figlio) in
un incidente stradale, nel 1946.
Un percorso cronologico è certo possibile, ma rischia di
tradire lo spirito col quale la raccolta è sorta, senza un preciso criterio
filologico, in quanto “
quelle poche opere d’arte che ho, sono state
acquistate con tutto l’entusiasmo, per il solo piacere dei miei occhi”, come confessava il magnate
lombardo.
Uno spazio centrale è riservato, non a caso, ai dipinti e
disegni di
Pietro Annigoni, al quale Croff fu legato da profonda amicizia e che
funse da tramite per la conoscenza di
Antonio e
Xavier Bueno, di stanza a Firenze. Nel
Doppio
autoritratto i
due fratelli spagnoli appaiono, da veri pittori-gentiluomini del tardo Ritorno
all’ordine, armati di strumenti del mestiere non meno che di spavalderia,
desiderosi di ostentare svariati riferimenti colti, da
Manet a
Pollaiolo e
Rembrandt. Ancora a Xavier spetta la
rievocazione della stagione metafisica, con una bella
Natura morta, mentre del principale esponente
di questa corrente,
Giorgio de Chirico, Croff possedeva due quadri del 1940, orientati
ormai al recupero di una pennellata densa e naturalistica.
Proprio il gusto per la “bella pittura” unisce idealmente
opere di epoche diverse, dai sapienti accordi cromatici della
Crocifissione di
Giovanni del Biondo ai toni icastici della
Madonna
di
Neri di
Bicci, a quelli
più delicati del
Cristo di Pietà attribuito ad
Ambrogio da Fossano detto il Bergognone, purtroppo assai impoverito a
livello conservativo.
Le inquietudini e i rigori del Seicento sono ricordati
invece da un bella tela dell’ambito del caravaggesco
Nicolas Régnier e da un intenso ritratto di
Annibale
Carracci, forse
raffigurante l’artista stesso.