Morte, morte, morte, morte, morte, morte. Una parola che a molti fa paura pronunciare o anche solo scrivere. La vibrazione forte e destabilizzante che si prova a pensarla è come una scossa elettrica. E’ come immaginarsi proiettati tutto di un tratto nel nulla, nel buio più assoluto, in un non-luogo, indefinibile perché non
Su questa non-dimensione si appoggia il pensiero di Tobias Rehberger.
All’ingresso delle sale della Gam, il concetto di morte è da subito chiaro, lampante e immediatamente afferrabile, tanto da rimanere, per un istante, attoniti. Poi, ci si lascia andare all’atmosfera di un’installazione fatta di più momenti, dove la morte e la riflessione su di lei si aprono a più messe in scena.
Questo autore attraverso le sue opere ci mette di fronte ad una sua personale riflessione sull’avvicinamento ad un momento importante, concreto, definitivo.
Giocando all’inizio con le parole morte e papà ci ricorda che la morte noi la viviamo tutti i giorni. Ogni giorno che passa un’infinitesimale parte di noi, muore. La vita e la morte sono presenti nelle famiglie e quel che ci diede la vita, poi ci lascerà.
I limiti temporali della nostra esistenza, a cui non sempre pensiamo, ci sono ricordati attraverso 81 Year: una proiezione di tre milioni e seicento mila colori che rappresentano la gamma completa delle tonalità tecnicamente riproducibili dilatate in ottantuno anni, più della vita media di un individuo.
La riflessione più intima, diventa in seguito condivisibile in opere come Women’s Murder Library – una biblioteca di film che hanno come tema centrale l’assassinio di donne – e come in Shining,
Più lineare e vicino al quotidiano, il riadattamento in stile giapponese con linee nette e pulite di alcuni mobili, appartenuti a persone decedute, che l’artista prese all’asta in Germania. Gli ambienti nuovi e vivi – sono disposti in modo ordinato: ciabatte da casa, tazze da tè, fiori freschi in un vaso – sono intrisi dell’anima del defunto che ne fu il proprietario.
Da vedere perché ogni tanto fa bene fermarsi a pensare anche su ciò che non ci piace.
Federica De Maria
visitata il 7 maggio 2002
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