Un concettuale-notturno. Che parla dei nostri sogni, del nostro desiderio di sublime, delle nostre paure, per restituirceli ordinati in fredde teche da museo di storia naturale, sterilizzati, ma ugualmente carichi di quel loro odore di sonno e di notte mal dormita. Con Susan Hiller (Florida, 1940, vive in Gran Bretagna) si aprono altre due sale del progetto Concetto, corpo, sogno, che il Castello di Rivoli dedica quest’anno all’arte concettuale degli anni Settanta. Dopo le stanze occupate da Lawrence Weiner (New York, 1942), con le sue indicazioni di opere ancora di là da venire, il movimento inizia a colorarsi di facce, anime e sensibilità diverse e disparate.
Quello che emerge da Dedicated to the Unknown Artists (Dedicato agli artisti sconosciuti, 1972/6) è una lucida classificazione di cartoline di mare in tempesta, dove all’osservatore spetta il compito di trovare, tra i molti dati forniti dalla ricerca, le coordinate di un possibile genere artistico: sbizzarrendosi a collegare tra loro forma e luogo, soggetto e tecnica, luogo e dedica. L’opera nasce così da un coinvolgimento collettivo in cui interagiscono artista, osservatore, “committenza turistica” e una schiera di artisti sconosciuti, mille personaggi ciascuno con il proprio personale bisogno di immagini sublimi e di romanticismo.
La tecnica dell’analisi antropologica è proposta con maggior chiarezza in Dream Mapping (Mappatura del sogno, 1974) in cui sono le tradizioni popolari britanniche, la telepatia e l’inconscio ad intrecciarsi tra loro. Qui, partendo dalla condivisione dei sogni fatta da un gruppo di dieci partecipanti ad un evento organizzato dall’artista, si crea una mappa collettiva dei ricordi notturni e si finisce col parlare del limite tra sfera pubblica e privata, dei cerchi fatati che costellano l’Hampshire, ma anche di Freud, di psicanalisi e di femminismo. Si delinea così la poetica di Hiller, fatta da coincidenze tra esperienze vissute e spazi culturali, sguardo scientifico e investigativo.
Sono questi i temi che permangono come comune denominatore anche nei suoi lavori più recenti.
Non accontentandosi di una prospettiva storica, le mini personali di Concetto, corpo, sogno vogliono presentare anche le ultime evoluzioni degli artisti esposti, in particolare alla luce del rinnovato interesse di cui godono alcuni di loro tra le nuove generazioni di artisti internazionali. Così Witness (Testimone, 2000), in cui in una nube di altoparlanti ascolta racconti che parlano di avvistamenti di UFO e incontri con personaggi extraterrestri. Protagonista è la voglia di soprannaturale, ma qui nessun criterio di classificazione ci guida: le storie restano presentate con le loro incongruenze, immerse in un rumore di fondo in cui fonti e lingue si mescolano. Insomma una voluta mancanza di regolarità e di metodicità, che la dice lunga sulla sensibilità che ci divide dagli anni Settanta e sull’appiattimento delle informazioni: suggerendoci che parliamo ognuno per proprio conto in un altoparlante, piuttosto che creare insieme la mappe di sogni.
Con questa mostra su Susan Hiller e la relativa fine dell’allestimento delle sale 34 e 35, il concettuale diviene non solo puro bianco, ma anche blu. Come mondi paralleli popolati da navicelle spaziali, verde come prati del Hampshire, grigio ingiallito come cartoline d’epoca… Occorre però fare un appunto: sarebbe bello rivedere un Rivoli più generoso. Queste mostre di due sole sale che aprono alla spicciolata, se da un lato hanno il vantaggio di far apprezzare il lavoro dell’artista senza pantagrueliche abbuffate, dall’altra ci lasciano ad esclamare non sazi, come già era successo con le stanze dedicate a Doris Salcedo in Triennale, “ancora, ancora, ancora”.
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alberto osenga
mostra visitata il 10 aprile 2006
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