La collezione permanente è l’anima del museo: si arricchisce nel tempo, grazie alle nuove acquisizioni, sottraendosi al rischio d’una connotazione “auratica”, di una staticità sclerotica. Il patrimonio della Gam di Torino ha una storia importante; ha preso forma lentamente, nel tempo, diventando un organismo vivo, nell’idea di una cultura dinamica che ha sempre saputo guardare a tutte le espressioni dell’arte. Da una riflessione di Jean Cocteau prende corpo e titolo la mostra
I giovani che visitano le nostre rovine non vi vedono che uno stile. “
Quanto faranno avrà la meglio sul resto e non rassomiglierà a niente”, prosegue il testo.
Il tema, affascinante e attuale, dà vita a un allestimento difficile, certamente di lettura non immediata, il cui filo conduttore è concettuale: il percorso pone a contatto artisti entrati da tempo nella storia e artisti delle generazioni ultime, appartenenti a diverse culture. Ne deriva un confronto dialettico, serrato, di metodiche, di linguaggi, di esperienze formative, di capacità di narrazione; una storia dentro la storia, l’apertura del museo a un dialogo che prevede equilibri provvisori, che necessitano adeguazioni continue al divenire della realtà.
Le opere proposte sono interconnesse, eppure mantengono la loro singolarità, costituiscono un microcosmo che si relaziona con l’ambiente, una sorta di sfida percettiva oltre che concettuale.
Per quanto riguarda gli artisti presenti nelle collezioni, il percorso inizia con due opere di
Giulio Paolini risalenti agli anni ’60, che definiscono la messa in crisi dello statuto dell’arte; a seguire, una natura morta di
Felice Casorati, il “movimento della vita” di
Dadamaino, il recupero della natura di
Giuseppe Penone, una forma tridimensionale di
Sol LeWitt, la ripetitività sequenziale di
Richard Serra, la cultura mummificata di
Eliseo Mattiacci, la scultura futurista di
Mino Rosso e la metafisica di
Alberto Savinio.
A dialogare con queste presenze sono proposte tematiche affini, viste dalla prospettiva della ricerca più recente: allusioni all’inconscio in
Francesco Barocco, disegni e segni in
Isabelle Cornaro e in
Clément Rodzielski, ripetizione e meccanismi di memorizzazione in
Simon Dybbroe Moller, trasformazioni linguistiche in
Michael Dean, la relazione tra l’impronta del soggetto e la realtà in
Florian Roithmayr.
E, ancora, l’idea di scultura composita in
Steven Claydon e
Thomas Houseago, la complessità iconica in
Andrea Buttner, il simbolismo paesaggistico in
Salvatore Arancio, la struttura profonda dell’oggetto in
Vanessa Billy.
A chiudere, due video: simboli e memoria in
Woody Vasulka, manipolazione mediatica in
Seth Price.
Nell’attesa che si apra effettivamente il nuovo corso firmato Danilo Eccher, i presupposti sembrano confermare un cambio di rotta. All’insegna dell’intersezione fra collezione e nuove sperimentazioni.
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domanda tecnica: ma perchè delle opere di proprietà della GAM c'è la courtesy di gallerie private?
Perché quelle NON sono di proprietà della Gam. Rileggi l'articolo, è piuttosto chiaro: fino ad Alberto Savinio si tratta di opere della collezione, le successive no. Almeno fino ad ora.
mica poi tanto chiaro... mi sembrava strano che la GAM acquisisse opere così di 'tendenza'