S’intitola Maria (2003) l’olio su tela che accoglie in mostra il visitatore ignaro. La galleria-abitazione di Marco e Silvia Noire ha infatti sede in un ex-convento del 1730, affiancato da un piccola cappella e rimaneggiato successivamente per divenire una casa colonica. Maria è un nudo che misura un metro per settanta centimetri: il corpo è gravido, le mani sono posate sul ventre e una foresta di peli pubici lambisce il margine inferiore della tela. Un incipit dalle tinte forti, che si va poeticamente smorzando nel corso della visita.
Sui due piani della galleria, altri oli –a colori o in bianco e nero, come istantanee sfocate e apparentemente maldestre– congelano, con elegìaca grazia, brani di vita
In Emanuela (2003), l’artista sceglie nuovamente una prospettiva inusuale ed effimera: in primo piano, l’ovale di un giovane volto femminile si staglia e guarda in direzione dell’osservatore, posto idealmente al di sopra di lei. Opportunamente, la tela è posta sotto le scale che conducono al secondo piano della galleria: spiati più che voyeurs, ci
Terza variante ottica nel dittico Ouarzazate (2003): dall’interno di un monolocale, vediamo un uomo in boxer e t-shirt sedere sulla branda (I), per poi mostrare le terga e osservare dalla finestra (II), negandosi allo sguardo e guardando a sua volta ove lo spettatore non può vedere.
Istantanee di un vivere lasso: tinte grigie e “realismo casuale”, come recentemente ha scritto Gianni Romano.
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