Un uomo e una donna, fotografi di due epoche e contesti diversi. Ma con l’obiettivo ugualmente puntato sulla bellezza virile. Quella dei ragazzi di “barriera” della Torino anni Cinquanta, immortalata dall’occhio meccanico di Giuseppe De Benedictis, detto Peppino (Gioia del Colle, Bari, 1927-1996), sia nel suo studio che direttamente nelle palestre di periferia dove quei giovani usavano gonfiarsi i muscoli, nell’unica possibilità di riscatto sociale concessa allora ai figli dell’immigrazione meridionale. E quella emanata dalle comunità chiuse maschili di mezzo mondo, foriere di professioni ad alto rischio mortale, indagate nell’ultimo decennio degli anni Novanta dalla torinese Giorgia Fiorio (1967). “Quando sono stata contattata per questo lavoro nel chiostro di S. Filippo Neri al MIAAO” -spiega la Fiorio ad Exibart- “il suo direttore Enzo Biffi Gentili me l’ha proposta come una sfida e come la rimessa in gioco del mio lavoro fotografico ‘Uomini’, concluso nel 1999”. Un progetto monografico via via raccolto in sette libri e incentrato su un’idea di archetipo millenaria, come può esserlo l’eterna lotta dell’uomo nei confronti dei propri limiti. Ma soprattutto un tema ben preciso, raffinatosi sempre più a partire da un iniziale approccio di tipo documentaristico, legato alla sua formazione presso l’International Center of Photography di New York: “quando nel 1990 iniziai, in maniera più o meno inconsapevole, il lavoro Uomini” -continua la Fiorio- “p
Fino ad arrivare alla mostra odierna intitolata Uomini: una prospettiva-retrospettiva, con la proposta di selezionare 10 immagini formato 100×100 cm da quel corpus di casistica estrema. “Ho immaginato questa installazione con le immagini stampate insieme fronte e retro, che pendevano come lame dalle chiavi di volta del chiostro settecentesco. Qualcosa di impensabile per un fotografo del reale come me, quasi un anatema, perché la fotografia invertita è l’irrealtà ma nello stesso tempo un punto di domanda che può avere una ragione in questo luogo. E Biffi ha riconosciuto in tutto ciò una vera prospettiva della galleria e poi retrospettiva nel senso di visione opposta e contraria alla direzione di partenza”.
Ma anche un chiaro riferimento al cerchio vita-morte, sottolineato dalla natura affermativa e insieme negativa, concettuale e insieme estetica della scelta espositiva, coerentemente presentata in un Museo di Arti Applicate, dove bellezza e funzione (in questo caso documentale) sono indissolubili. “Per me forma e contenuto sono assolutamente inscindibili”, precisa la Fiorio-. “Dal momento in cui inquadro il soggetto e vedo quali sono i più alti valori nella scala tonale, so già esattamente come li stamperò. Si tratta di una pre-visualizzazione dell’opera finale. Tutto
Niente a che vedere con la pratica forse più ruspante ma di altrettanta qualità, dimostrata dall’unico fotoculturista sul territorio italiano Giuseppe De Benedictis, autore della cosiddetta fotografia beefcake (bisteccone), soggetta a molti equivoci. Quelli che hanno portato al sequestro di tutto il materiale e alla chiusura, da parte della buoncostume, del suo studio fotografico nel 1961, dopo appena tre anni di attività. “La mostra prende spunto dal ritrovamento di parte dell’archivio di Peppino, presso la sua famiglia da parte di Biffi che lo conobbe negli anni ‘60”, interviene la curatrice Luisa Perlo. “E troverà una naturale prosecuzione nella pubblicazione verso marzo-aprile del libro omonimo. Nel quale si approfondirà il tema attraverso l’apporto di nuovi contributi iconografici da parte di Mario Cresci e di Giulia Caira, che per l’occasione realizzerà un servizio fotografico sui protagonisti di allora”.
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