Indubbiamente,
a Torino, per trasformare il cioccolato nella misteriosa “bontà” canticchiata
da Mina ci vuole un bel coraggio. Ma è un sacrilegio tutto sommato veniale, se
paragonato a quelli commessi dagli ospiti di un’Arca molto, molto diversa da
quella raccontata dalla Bibbia.
Tuttavia
non è detto che il
blob marroncino non possa essere davvero il “cibo degli dei”, emblema del
peccato capitale della gola: divertente e disarmante, la mostra di
Luis Vidal (Barcellona, 1970) inizia così,
con un mondo-torta che tutti si disputano senza esclusione di colpi,
rappresentazione sferzante e invitante dell’arcinoto
bellum omnium contra
omnes.Nefando
carosello che, abbattutasi la punizione divina, prosegue indisturbato dentro la
nave, trasformata in una Disneyland oscena dove le leggi di natura sono
totalmente abolite. Secoli di evoluzione polverizzati da una godereccia parodia
che, di tanto in tanto, estrae i rostri della critica sociale e, alla fine,
porta a chiedersi perché un dio non solo vendicativo, ma anche cinico e baro,
abbia selezionato il peggio perché le specie di bipedi, quadrupedi e affini
sopravvivessero.
Al
catalano bastano quattro mosse per dare scacco matto a uno dei più famosi
mitologemi sul discrimine buoni & cattivi, inventando con forme giocose e
colori vivaci un luna park dove perfino il dolce bisillabo “papà” del titolo corrode
come acido, appioppato a un Noè che è l’esatto opposto dell’unico probo
destinato alla salvezza.
E se, come dicono le Scritture, al vegliardo piaceva
talvolta alzare il gomito, l’irriverente artista gli fa impennare pure…
altro, poiché l’imbarco viene salutato dal “comandante” in saio con un
gagliardo alzabandiera priapico, sfotticchiando il Papa benedicente alla finestra.
Blasfemia?
Questo è niente, in confronto alle
reali frasi spennellate a caratteri cubitali sulle
pareti: aforismi agghiaccianti, permeati di virulento fanatismo, liberamente
tratti dai proclami di varie sette (pseudo)religiose, dipinti con la stesse
nuance “cioccolata” che,
significativamente, gonfia la nuvola marroncina del Diluvio (sconfortante
intuire cosa ne pioverà).
Simbolo
più di un patto scellerato che di un’Alleanza, l’Arca si presenta internamente
rivestita di sacchi per la spazzatura che ne “rinforzano” la lettura: come
stiva,
store di magliette di soggetto zoo-orgiastico (come dire che il capitalismo è, a
usare un’espressione ormai sdoganata dalla politica,
una porcata); o come sentina di vizi,
dark
room in cui i
ferini passeggeri danno libero sfogo ai propri (infimi) istinti.
Grandiosamente
grandguignolesco il finale, con olocausto di colombe in una martellante
atmosfera disco anni ’80, con tanto di palla specchiata. Il re della festa è
ancora lui, Noè, che penzola soddisfatto in uno sfacelo di volatili maciullati,
nella bufera infernale di piume. Nessuno verrà ad annunciare la fine del
cataclisma.
E
ora uscite fuori, se ne avete il coraggio.