“Ho riconsiderato l’importanza di definire meglio il senso dello sguardo rivolto all’altro, intendendo per altro (in corsivo nel testo, n.d.a.) quella persona che in un certo senso vediamo come diversa da noi.” L’inciso è tratto da uno scritto datato 31 luglio 2002 in cui Alessandro Quaranta commenta lo stato di avanzamento dell’indagine sulla comunità Rom slava che è alla base di da gadjiò, project room ospitata dalla galleria Luigi Franco. Project room e non mostra personale, per render conto di un lavoro ancora in atto e per rappresentare una riflessione non ancora conclusa sulla possibilità di invertire la direzione dello sguardo rivolto verso l’altro, verso ciò che non ci appartiene e che è estraneo alla nostra cultura. Proprio a quest’area semantica dell’inassimilabile e dell’altro da sé, avvertono le a.titolo , curatrici del progetto, allude in lingua Rom l’espressione da gadjiò. Gadjiò è ‘colui che non è Rom’, è lo sguardo dell’artista ma anche quello del visitatore coinvolto da Quaranta in un percorso visivo e spaziale che sovverte gli stereotipi legati alla comunità Rom . L’ipotesi di un nomadismo volontario, che rifiuta la prospettiva di un domicilio fisso, si scontra infatti con le voci dell’installazione O Ker (casa), filtrate da un cubo di cartone forato entro il quale ruota un segnale luminoso. Invitato a camminare attorno alla struttura, l’osservatore raccoglie il desiderio di possedere una dimora fissa e definitiva, i sogni di lavoro e il duro riscontro con la realtà effettivamente vissuta dagli intervistati. Le chiavi di lettura del contesto tratteggiato in O Ker risiedono nella selezione di testi consultabili che approfondiscono da un punto di vista storico, sociale e linguistico il passato recente dei Rom. Lo sguardo, in questo caso, è quello della cronaca, delle leggi e delle guerre che hanno reso possibile lo scenario ricostruito da Quaranta: Fuori luogo – Cronache da un campo Rom di Marco Revelli, Le guerre iugoslave 1991- 1999 di Jože Pirjevec, se da un lato aiutano il visitatore a ricostruire la geografia e la memoria ufficiale della cultura Rom, dall’altro permettono di apprezzare il lavoro dell’artista non tanto e non esclusivamente come documentazione della situazione della comunità di Via Arrivore a Torino. Il video Kame te pijas kafa? (Vuoi un caffè?) registra, in effetti, il sistema di relazioni che l’artista ha instaurato con gli abitanti del campo. Il rituale di accoglienza legato alla preparazione del caffè, quasi un luogo comune culturale dell’immaginario italiano, diventa quindi descrizione indiziaria di architetture, spazi sociali e oggetti del quotidiano Rom, protagonisti anche in Te dikav o fusuj (Ti leggo i fagioli), divinazione raccontata attraverso la combinazione e la ricomposizione di gruppi di fagioli. Si tratta, in fondo, di un’antropologia del vicino che in Famiglie allarga l’indagine sul campo di Torino alle relazioni parentali dei Rom di tutto il mondo. Si tratta di una mappa che non rende visibili confini geopolitici ma soltanto intrecci di fili di lana colorati le cui traiettorie di allontanamento, espulsione e separazione sono determinate dalle normative che di volta in volta hanno declinato il destino della comunità Rom.
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Dal 4 al 31 marzo 2003,
Luigi Franco Arte Contemporanea, Via Sant’Agostino 23q, 10122 Torino
Tel. 011 5211336 e-mail galleria@lfac.it
dal martedì al sabato 15,30-19,30[exibart]