Gerd B. Achenbach, caposcuola della consulenza filosofica, in un suo testo scrive: “L’ipotesi che apre la strada alla sperimentazione del dominio moderno sul mondo è che il mondo per noi non significa nulla, che non ha nulla da dirci, è senza senso: è un miscuglio di caso e legge, di struttura e caos. Non c’è alcuno spirito a dare ordine, nessuna verità che si manifesti nelle cose, […] né una totalità a cui appartenere. Il mondo per noi “non ha alcun senso”, cioè non esiste un senso da rispettare, da osservare, da aiutare a realizzare e nemmeno un senso che temiamo di perdere, un senso per cui dovremmo ringraziare.”
L’uomo ha smesso di riflettere e ha creduto di poter dominare l’universo attraverso le proprie azioni e la tecnologia, di poter asservire tutte le risorse e tutte le creature a disposizione, secondo i principi di uno sviluppo improprio che ora diventa difficile controllare. Per questo è apprezzabile la ricerca del silenzio, perché l’assenza di suoni riporta all’ordine, collega l’essere alla propria interiorità, e in questo percorso cerchiamo di ritrovare il tanto sospirato senso dell’esistenza. Questo è il motivo per cui il silenzio è tanto esaltato dall’arte contemporanea, che lo ricerca e lo annulla in un sol battito d’ali.
Anche nella mostra Silere (Be silent), allestita in un edificio industriale (ambiente in prestito per tale destinazione d’uso, adiacente alla sede della società di consulenza per l’arte contemporanea Cantiere 48) il curatore Claudio Cravero ha organizzato un’interessante collettiva sotto l’egida del silenzio. In cui il silenzio non esiste.
L’uomo moderno cerca la quiete e trova la sua inquietudine, e con il primo lavoro siamo subito in loop. Sophie Usunier (Neufchateau, Francia, 1971) con telecamera fissa riprende le sue mani che annodano e snodano una catenina, all’infinito. Il titolo del video è Dénouement, termine che indica il momento in cui si scioglie il nodo di un intreccio narrativo, ma le aggraziate dita dell’artista sembrano scorrere un rosario e non trasmettono una soluzione, semmai l’ansia dell’eterno ritorno, un gesto che non si risolve e incatena anziché liberare.
Il loop continua con Disease, il lavoro di Dario Neira (Torino, 1963). Questa volta gli scatti sono frenetici, accompagnati da un sordo e continuo battito che assume un ritmo ipnotico, mentre i nostri occhi osservano velocissime e alternate sezioni di un cervello umano, di una spina dorsale: il risultato di una risonanza magnetica, interno e poi esterno, un torace e un respiro affannato, scienza e respiro vitale convivono con la ricerca e il terrore di essa.
Si trova poi rifugio nell’installazione di Domenico Olivero (Cuneo, 1964), nella pace che la terra dona a chi è capace di apprezzarne la sostanza che genera la vita e l’amore. Si esce e si rimane spiazzati, perché esiste una porta e non la si può spalancare. Un vetro e una striscia rossa, il limite di Riccardo del Conte (Novara, 1978) nell’osservare un orizzonte sulla parete opposta. Ma anche un limite alla comprensione delle sensazioni, che variano sempre secondo il punto di vista dell’osservatore.
Il curatore Cravero, insieme ad Otto Bugnano, è l’artefice di Cantiere48, società che nella propria dichiarazione di intenti ha stabilito di far coesistere l’arte contemporanea e l’impegno nel sociale, una decisione che nasce dalla consapevolezza che le imprese sono invitate ad assumere un ruolo sempre più importante nella diffusione dello sviluppo sostenibile.
Il metodo è quello di creare una sinergia tra l’artista, l’azienda che produce un bene e un protagonista impegnato nel sociale, come ad esempio l’ospedale Regina Margherita di Torino, che trarrà un beneficio economico che concretizzerà gli sforzi di tale operazione. Questo progetto, dal titolo Artediparte, trova una sua articolata pianificazione in una serie di eventi concatenati.
barbara reale
mostra visitata il 16 marzo 2007
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