Personaggi maschili in posa, in attesa di essere immortalati da un obiettivo fotografico. In attesa di uno scatto che forse è già avvenuto. E che, duplicandone l’immagine, ha inevitabilmente creato una Controfigura, un doppio. Perché la macchina fotografica, come la ripresa cinematografica, genera dei sostituti, che siano solo visivi o in carne ed ossa. Nei quali riconoscersi, oppure no. Come spesso accade nella vita reale, quando, in preda alla schizofrenia del quotidiano, capita di sdoppiarsi. Moltiplicandosi all’infinito per tentare affannosamente di adeguarsi all’immagine che gli altri si sono fatti di noi.
Senza forzare troppo, si può ben affermare che Dietmar Lutz (Ellwangen, Jagst, Germania, 1968) nel suo nuovo ciclo pittorico voglia ritrarsi semplicemente e narcisisticamente per quello che è. Senza edulcorarsi o imbellettarsi. Grazie anche ad una tecnica pittorica che tratta l’acrilico al pari dell’acquerello, per la sua resa sulla tela molto liquida. Che tende a scivolare e ad allargarsi sul supporto, creando degli aloni e un effetto fluo, sfocato. Come
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claudia giraud
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