Ouchi è il nome di una fantomatica azienda produttrice di esplosivi, inventata e realizzata dall’artista americano Eric Wesley. Per la sua prima personale italiana, Wesley ha ideato infatti un’operazione artistica a metà strada tra una scultura/installazione e un lavoro concettuale, che rimanda a un fare e a un progettare precedente la
Al centro del lavoro è, dal punto di vista concettuale, l’aspetto violento della società occidentale contemporanea. Entrando nelle sale della galleria si ci trova di fronte ad una pila di barattoli di latta, grandi come quelli delle vernici, disposti come una scultura di grandi dimensioni. Anagrammando la sigla di una casa produttrice di armi ed esplosivi, e riportandola sulle enigmatiche confezioni (Ouchi verrebbe dall’italiano Fiocchi), il lavoro allude alla produzione di armi e alla loro vendita.
La sala successiva mostra la fase di produzione di quegli stessi oggetti: lo spettatore è posto di fronte ad una sorta di catena di montaggio di esplosivi più o meno rudimentali, disposta lungo un semplice bancone di legno con vari aggeggi e strumenti utili all’operazione. L’esposizione è completata da una spiegazione su come procedere alla realizzazione dell’esplosivo e da un video a documentazione della performance, in cui lo stesso Wesley è ripreso mentre traduce in pratica quelle stesse istruzioni.
La mostra di per sé è volutamente spiazzante, soprattutto per coloro che si attendessero di visitare un’esposizione tradizionalmente costruita. Ma soffermandosi a considerare l’effetto generato dall’installazione nel suo complesso, con il suo potenziale creativo e polemico, l’impressione
A saltare agli occhi è in primo luogo l’aspetto violento e contestatore. Ma è forse anche da considerare un secondo aspetto di polemica, più sottile e caustico: di fatto la galleria è trasformata in officina, in un luogo preposto alla produzione di oggetti destinati al mercato, prosaici, fatti per la vendita e al commercio, per di più di oggetti molto poco politically correct . Viene da chiedersi se la polemica non sia rivolta (oltre che nei confronti di una società che fa sempre più ricorso alla violenza e alla guerra per risolvere, più o meno apertamente, i propri problemi) anche e soprattutto verso lo stesso sistema dell’arte. Trasformato in una sorta di fabbrica/azienda, che si dispone con studiata violenza e prepotenza nei confronti dello spettatore.
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